citazioni accidentali: #11 memoria delle mie puttane tristi

Di piogge, libri, amore e immaginazione: la voce narrante è quella del protagonista, novantenne, di Memoria delle mie puttane tristi (Memoria de mis putas tristes), romanzo di Gabriel García Márquez del 2004.

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Quando l’acquazzone fu passato avevo sempre l’impressione di non essere solo in casa. La mia unica spiegazione è che così come i fatti reali si dimenticano, alcuni che non si sono mai prodotti possono anche inserirsi tra i ricordi come se fossero stati. Perché se evocavo l’emergenza dell’acquazzone non vedevo me stesso da solo in casa ma sempre in compagnia di Delgadina. […] Mi ricordavo salito sullo sgabello della biblioteca e ricordavo lei sveglia col suo vestitino a fiori che prendeva libri per metterli in salvo. La vedevo correre da una parte all’altra della casa battagliando con la burrasca, fradicia di pioggia con l’acqua alle caviglie. Ricordavo come aveva preparato il giorno dopo una colazione che non c’era mai stata, e aveva apparecchiato mentre io asciugavo i pavimenti e mettevo ordine nel naufragio della casa. Non dimenticai mai il suo sguardo cupo mentre facevamo colazione: Perché mi hai conosciuta così vecchio? Le risposi la verità: L’età non è quella che si ha ma quella che si sente.
A partire da allora la ebbi nella memoria con una tale nitidezza che facevo di lei quello che volevo. Le cambiavo il colore degli occhi secondo il mio stato d’animo: colore d’acqua al risveglio, colore di giulebbe quando rideva, colore di fiamma quando la contrariavo. La vestivo secondo l’età e la circostanza che si addicevano ai miei cambiamenti d’umore: novizia innamorata a vent’anni, puttana da salotto a quaranta, regina di Babilonia a settanta, santa a cento. Cantavamo duetti d’amore di Puccini, boleri di Agustín Lara, tanghi di Carlos Gardel, e constatavamo per l’ennesima volta che chi non canta non può neppure immaginare cosa sia la felicità di cantare. Oggi so che non fu un’allucinazione, ma un ulteriore miracolo del primo amore della mia vita a novant’anni.

E per tutti gli ispanofoni che passano di qui, il testo in lingua originale:

Cuando pasó el aguacero seguía con la sensación de que no estaba solo en la casa. Mi única explicación es que así como los hechos reales se olvidan, también algunos que nunca fueron pueden estar en los recuerdos como si hubieran sido. Pues si evocaba la emergencia del aguacero no me veía a mí mismo solo en la casa sino siempre acompañado por Delgadina. […] Me recordaba subido en el escabel de la biblioteca y la recordaba a ella despierta con su trajecito de flores recibiendo los libros para ponerlos a salvo. La veía correr de un lado al otro de la casa batallando con la tormenta, empapada de lluvia con el agua a los tobillos. Recordaba cómo preparó al día siguiente un desayuno que nunca fue, y puso la mesa mientras yo secaba los pisos y ponía orden en el naufragio de la casa. Nunca olvidé su mirada sombría mientras desayunábamos: ¿Por qué me conociste tan viejo? Le contesté la verdad: La edad no es la que uno tiene sino la que uno siente.
Desde entonces la tuve en la memoria con tal nitidez que hacía de ella lo que quería. Le cambiaba el color de los ojos según mi estado de ánimo: color de agua al despertar, color de almíbar cuando reía, color de lumbre cuando la contrariaba. La vestía para la edad y la condición que convenían a mis cambios de humor: novicia enamorada a los veinte años, puta de salón a los cuarenta, reina de Babilonia a los setenta, santa a los cien. Cantábamos duetos de amor de Puccini, boleros de Agustín Lara, tangos de Carlos Gardel, y comprobábamos una vez más que quienes no cantan no pueden imaginar siquiera lo que es la felicidad de cantar. Hoy sé que no fue una alucinación, sino un milagro más del primer amor de mi vida a los noventa años.

Ora, il giulebbe (“…gli occhi […] colore di giulebbe quando rideva”): voi l’avevate mai sentito, il giulebbe? Io no. Dal persiano gulab «acqua rosa», composto da gul «rosa» e āb «acqua», attraverso l’arabo giulāb. Usato come sinonimo di acqua di rose (bevanda fatta con acqua, estratto di rosa, zucchero o miele) o più genericamente con il significato di sciroppo dolcissimo a base di frutta, fiori e zucchero. Per estensione, di cosa o persona buona e molto dolce, anche sdolcinata, stucchevole.
E però il traduttore qui è stato leggermente fantasioso, perché il testo originale parlava di almíbar (dell’arabo al-maiba, sciroppo a base di “membrillo”, cioè cotogno, “quince” in inglese), che significa “sciroppo”, nel senso di soluzione concentrata di acqua e zucchero, fatta addensare sul fuoco.
Il giulebbe dovrebbe avere un colore rosato, mentre l’almíbar è ambrato. Non che sia fondamentale, ma volevo dirlo.
Ora scusate, vado ad ascoltarmi dei boleri di Agustín Lara.

5 pensieri riguardo “citazioni accidentali: #11 memoria delle mie puttane tristi

  1. Gracias, cielo 😉 Il giulebbe lo avevo sentito, ma non ricordo in che occasione, mannaggia. Ora vado anch’io ad ascoltarmi i boleri (e forse anche Samuele Bersani, che c’ho il neurone collegato con “Freak”). Baci!

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