#93 gold rush

Succedeva nell’Ottocento, in qualche zona ancora mezza inesplorata del Canada o degli Stati Uniti, che si scoprisse un grande giacimento d’oro: la notizia si diffondeva in fretta e arrivavano da tutto il mondo immense ondate di lavoratori in cerca di fortuna. Questa è una gold rush.

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Cercatori d’oro nel Klondike.

Una delle più celebri è la corsa all’oro del Klondike, tra il 1896 e il 1899. Il Klondike è una regione del Territorio dello Yukon (Yukon Territory), nel Canada nord-occidentale, accanto al confine orientale dell’Alaska. Prende il nome dal fiume Klondike, un affluente del fiume Yukon. Lo Yukon (Yukon River) è un fiume che nasce nell’omonimo territorio canadese, attraversa l’Alaska e sfocia nel Mare di Bering.

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Il fiume Yukon.

Il fiume Yukon è stato luogo, nel 1965, di una delle spedizioni di Walter Bonatti (1930 – 2011), “alpinista, esploratore e giornalista italiano”. L’esperienza è raccontata in uno dei suoi libri (credo in In terre lontane). Ne approfitto per segnalare un documentario molto bello di un ragazzo che ha rifatto una spedizione analoga, pagaiando in canoa da solo per 1.400 chilometri.

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Walter Bonatti in canoa sullo Yukon.

Vi svelo una cosa: lo Yukon NON è lo Yucatán.

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Lo Yucatán è fighissimo per una serie di motivi:

1. “Sotto lo Yucatán è sepolto il cratere di Chicxulub, un enorme cratere formatosi molto probabilmente 65 milioni di anni fa con la caduta del meteorite che secondo alcune teorie scientifiche avrebbe portato all’estinzione dei dinosauri” (Wikipedia).

2. “Prima dello sbarco dei conquistatori spagnoli nella regione, lo Yucatán era una delle regioni più prospere dell’Impero Maya e conserva alcuni resti archeologici risalenti a più di tremila anni fa.”

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Il sito archeologico maya Uxmal, tanto per dire.

3. Nello Yucatán, come del resto in tutto il Messico, si parlano ancora lingue indigene come la lingua maya. La lingua più usata in Messico è lo spagnolo ma sono riconosciute ufficialmente ben 62 lingue amerindie.

Vi svelo un’altra cosa: lo Yucatán è UNO degli stati del Messico. Eh sì, perché il Messico è una Repubblica federale che comprende 31 stati. Trentuno, e io non lo sapevo. Non per niente, il nome ufficiale del Messico è Stati Uniti Messicani (in spagnolo Estados Unidos Mexicanos).

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Ma non divaghiamo: stavamo parlando della corsa all’oro del Klondike.

Nell’estate del 1897 anche lo scrittore californiano Jack London (1876 – 1916) viene a conoscenza della scoperta di ricchi giacimenti d’oro nel Klondike e parte con un amico per unirsi alla corsa all’oro. L’anno successivo torna a casa con un sacchetto d’oro che non lo arricchisce, ma le avventure vissute ispireranno molti dei suoi scritti, tra cui i suoi due romanzi più celebri, Il richiamo della foresta (The Call of the Wild) e Zanna Bianca (White Fang), entrambi ambientati nel Territorio dello Yukon al tempo della corsa all’oro.
Un paio di curiosità su Jack London (da tenere a mente per dopo):
1. Jack London era uno degli scrittori preferiti di Christopher McCandless;
2. Jack London appare in un capitolo della Saga di Paperon de’ Paperoni, intitolato Cuori nello Yukon (Hearts of the Yukon), nel quale si racconta del giovane Paperone, all’epoca cercatore d’oro nel Klondike.

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Jack London

Uno degli ultimi libri di Jules Verne (1828 – 1905), Il vulcano d’oro (Le Volcan d’Or), scritto nel 1899 ma lasciato incompleto e successivamente pubblicato postumo, è ambientato durante la corsa all’oro e racconta di due cugini canadesi e delle difficoltà che incontrano cercando fortuna nel Klondike.

La febbre dell’oro (The Gold Rush) è un celebre film muto diretto, interpretato e prodotto da Charlie Chaplin (1889 – 1977) nel 1925, che segue le vicende di un cercatore d’oro. In una delle scene più famose, il protagonista, nella miseria più disperata, cucina e mangia una scarpa.
Gossip su Charlie Chaplin: l’attrice Lillita MacMurray (1908 – 1995), nota col nome d’arte di Lita Grey, era stata scelta per il ruolo della protagonista femminile. Aveva sedici anni e aveva già recitato con Chaplin nel primo lungometraggio di quest’ultimo, Il monello (The Kid), del 1921.

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Lita Grey ne Il monello.

E poi Wikipedia dice: “in breve intrecciò una relazione col protagonista. A sei mesi dall’inizio della lavorazione del film, Lita rimase incinta di Chaplin il quale, per evitare lo scandalo, si trovò costretto a sposarla”. Lita Grey diventa così la sua seconda moglie e la madre di due dei suoi figli: Charles Jr. (1925) e Sydney Earle (1926). Intanto viene trovata un’altra attrice, Georgia Hale, per rimpiazzare Lita Grey nel film. Il matrimonio non è però felice e i due chiedono presto il divorzio.

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Charlie Chaplin, Charles Jr. e Lita Grey.

Gossip letterario su Charlie Chaplin e Lita Grey: sembra che i due abbiano in parte ispirato Vladimir Nabokov per il romanzo Lolita (1955). La loro differenza di età era notevole (lei sedici anni e lui trentacinque all’epoca del matrimonio) e il vero nome dell’attrice, Lillita, assomiglia parecchio a Lolita. E ci sono altri dettagli a sostegno di questa ipotesi (il primo ragazzo di Lolita si chiamava Charlie, alla fine del romanzo Lolita si trasferisce in Alaska, ambientazione de La febbre dell’oro, Humbert Humbert porta baffi simili a quelli di Chaplin, entrambi giocavano a tennis, sembra che Chaplin apprezzasse molto le ragazzine, eccetera).

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Il giovane Paperon de’ Paperoni con Doretta Doremì e una grande pepita d’oro.

Ma torniamo alla corsa all’oro: vi ha preso parte anche Paperon de’ Paperoni (in originale Scrooge McDuck. Un giorno farò un post con tutti i nomi originali dei personaggi di fumetti e cartoni americani). Paperone infatti non è nato ricco, anzi: è originario di Glasgow, e lì faceva il lustrascarpe. Insomma, è un immigrato e da ragazzo ha fatto i lavori più umili. Nelle miniere d’oro nel Klondike ha guadagnato il suo milione, e ormai ricco si trasferisce poi a Paperopoli (Duckburg).
Curiosità a caso su Paperone: la sua prima apparizione è del 1947, è stato creato da Carl Barks, è ispirato a Ebenezer Scrooge, il protagonista di Canto di Natale di Charles Dickens (ricco, avaro, e emotivamente arido).

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Felice Pedroni

Un altro immigrato che ha fatto fortuna nella corsa all’oro del Klondike è Felice Pedroni (1858 – 1910). Nato a Trignano, una frazione del piccolo comune di Fanano nell’Appennino modenese, ultimo di sei fratelli, rimane presto orfano di padre ed emigra prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove si ispanizza* il nome e si fa chiamare Felix Pedro. Fa diversi lavori finché, stanco di rischiare la vita per pochi soldi, nel 1894 viene preso dalla febbre dell’oro e va a cercare fortuna esplorando tra l’Alaska e il Canada.

*Nonostante il controllo ortografia non lo accetti, giuro che “ispanizzare” esiste, e ho le prove.

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Lo so che non mi credevate.

Nel 1902 Felix Pedro scopre un ricco filone aurifero nel fondo di un torrente, che da allora viene chiamato Pedro Creek, nei pressi dell’insediamento di Fairbanks, che all’epoca era poco più di una baracca.

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Il Pedro Creek.

In poco tempo la scoperta dell’oro attrae un grande numero di immigrati e vengono quindi poste le basi della città che ha oggi più di trentamila abitanti. Fairbanks è infatti la seconda città più grande dell’Alaska, dopo Anchorage, porto navale sulla Baia di Cook. Nessuna delle due è la capitale dell’Alaska, che invece è Juneau, e ha molti meno abitanti. L’aggettivo per dire “dell’Alaska” in inglese è alaskan, e gli abitanti “dell’Alaska” sono gli alaskans, ma non riesco a trovare un equivalente in italiano (a parte “eschimesi” o “aleutini” che però sono nomi di popolazioni/etnie che si trovano anche nel territorio dell’Alaska).

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Ma torniamo alle vicende di Felix Pedro, che torna in Italia nel 1906 e si innamora di una maestra. Lei però si rifiuta di sposarlo, allora lui torna in Alaska e sposa l’irlandese Mary Ellen Doran. Felix Pedro muore a Fairbanks a soli 52 anni, per cause apparentemente naturali, ma si sospetta avvelenato dalla moglie. Il suo corpo viene sepolto in California, e circa sessant’anni dopo ritrovato e trasferito nel cimitero di Fanano nel 1972.

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Da Fanano a Fairbanks.

 

È passato da Fairbanks anche Christopher McCandless, che ci è arrivato in autostop dal North Dakota nell’aprile 1992. Da lì è andato in direzione dell’Alaska, finché ha trovato un autobus abbandonato: lo ha chiamato Magic Bus e ci ha vissuto per un centinaio di giorni. Poi è morto perché ha mangiato una pianta avvelenata.

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Christopher McCandless in un autoscatto davanti al Magic Bus.

Nel 1997 l’alpinista e scrittore Jon Krakauer pubblica Nelle terre estreme (Into the Wild), che ricostruisce e racconta il viaggio di Christopher McCandless a partire dal suo diario e dai racconti delle persone che lo hanno incontrato lungo il percorso. Il libro diventa un bestseller e nel 2007 Sean Penn ne fa il film Into the Wild – Nelle terre selvagge.

#87 atlantide

Era una sera afosa quando Wellentheorie si è accorta, chiacchierando con me, che sono un vero e proprio custode di informazioni inutili-che-non-interessano-a-nessuno. Da lì, è stato un attimo propormi di scrivere come guest sul suo bellissimo blog (vi direi di seguirlo a tutti i costi, ma se state leggendo queste righe… lo seguite già).

Detto fatto: dopo aver elencato una manciata di argomenti sui quali avrei potuto scrivere un post più o meno sensato (tra cui la storia dei vibratori – ci arriveremo, promesso), la scelta è ricaduta sul mito di Atlantide.

Barney Stinson

Sono anche riuscito a convincerla a comprare un libro del 1950 sui Paesi Legen…wait for it… dary, edito da Garzanti nella collana “Saper Tutto”.

Questa è il libro che Wellentheorie mi ha regalato: ha 65 anni!
Questa è il libro che Wellentheorie mi ha regalato: ha 65 anni!

Ma partiamo dalla mia passione per Atlantide e dal perché è così radicata nel mio immaginario (e in quello di molti). L’idea che ci sia già stato un apice tecnologico, che poi è caduto in declino fino a scomparire è un tema caro a molti miti e leggende e ha fatto da spunto a tantissimi autori.

Posso citare Jerry Siegel, autore di Superman, che nel 1938 prese spunto da Atlantide per inventare un pianeta tecnologicamente avanzato (Krypton) che all’apice del suo splendore è andato incontro a una catastrofica distruzione.

O posso nominare, in tempi recenti, la mitologia dietro alla saga di Assassin’s Creed, che ipotizza una civiltà avanzata del passato, basata sull’acquisizione di conoscenze e tecnologia aliena che poi è andata distrutta.

Ad ogni modo, ciò che rende speciale per me Atlantide è che ne ho sentito parlare per la prima volta in un vecchio fumetto di mio padre, Mandrake, che finiva a lottare proprio nel regno sottomarino di Atlantide (mi riferisco a questo episodio).

Mandrake

Per chi non lo sapesse, Mandrake è un fumetto ideato da Lee Falk, nel 1934, ed è così “vecchio” che all’inizio non utilizzava neppure i balloon per i dialoghi dei personaggi.

Infatti, per quanto i balloon siano stati inventati attorno al 1400 e siano stati utilizzati qualche anno dopo il lancio anche nel primo fumetto della storia, The Yellow Kid, agli inizi del 1900 non erano ancora divenuti uno standard.

Un po' di classici baloon per i fumetti
Un po’ di classici balloon per i fumetti

Mandrake viveva avventure dal sapore simile a quelle dell’odierno Martin Mystere, edito dalla Bonelli – di cui non vi parlerò per niente perché sennò questo post diventa un elenco sconclusionato di personaggi dei fumetti, ma sappiate che anni fa ho lavorato anche al videogioco su MM, quindi prima o poi, se Wellentheorie non mi caccia prima, vi beccherete un post pure su di lui – alla ricerca di misteri in giro per il mondo.

Quelle ambientazioni, seppur abbozzate, mi hanno così tanto colpito da rimanere nella mia testa per anni, rendendomi letteralmente affamato di informazioni a riguardo.

Mi sono imbattuto così nei due testi di Platone, Timeo e Crizia, due dei suoi tantissimi dialoghi e che fanno parte del gruppo di testi scritti nell’ultima parte della sua vita, denominato Dialoghi Dialettici. In particolare in Crizia viene descritta la creazione di Atlantide che vi riassumo qui:

Poseidone (il dio dei mari) si innamora di una ragazza di nome Clito (ehm… saltiamo facili battute, dai! Facciamo quelli maturi!), e non sapendo dove andare a trombare con ella, crea una struttura concentrica fatta di terra e acqua (tre anelli di acqua e due di terra), li rende rigogliosi e si rinchiude al centro assieme alla sua conquista. Qui, non avendo né televisione né smartphone, concepiscono 10 figli. Il primo, Atlante, diviene l’imperatore della nazione che sorgerà su quelle terre, Atlantide.

Una rappresentazione dell'isola di Atlantide creata da Poseidone
Una rappresentazione dell’isola di Atlantide creata da Poseidone

Leggendo Timeo, invece, la descrizione di Atlantide è differente – segno che Platone andava proprio a braccio, o che si basava su testi (mai rinvenuti) contraddittori.

Platone colloca l’isola di Atlantide oltre le colonne di Ercole, descrivendola come un’isola molto vasta, che viene indicata come l’oppositore della liberale Atene.

Dopo la storia di Poseidone e Clito (ehm… dai, ok, la smetto), inizialmente i regnanti sull’isola erano saggi e potenti e la civiltà crebbe demograficamente e tecnologicamente. Poi, però, a causa dell’animo umano mutò in un regno di conquistatori che volevano solo accrescere il loro potere. Ma proprio quando dichiararono guerra ad Atene, un cataclisma spazzò via l’isola intera, trascinando negli abissi abitanti, tecnologia e reperti preziosi.

Tra essi, Platone cita l’oricalco, un metallo leggendario.

Questo materiale viene ripreso nel videogioco Indiana Jones and the Fate of Atlantis, una delle avventure grafiche che hanno segnato un’epoca (e il più grande interrogativo della storia del cinema – nel senso: ma perché cavolo Lucas e Spielberg sono andati a tirare in ballo alieni e teschi di cristallo con Indiana Jones 4 quando potevano benissimo prendere la trama del gioco e fare una figata?). La trama, ricca di colpi di scena, porta l’archeologo più famoso del mondo alla ricerca del regno perduto di Atlantide proprio seguendo le indicazioni di Platone (anche se l’isola viene collocata al centro del mediterraneo).

Oricalco in un medaglione che diventa una fonte energetica e indica il pericolo... aspetta, mi ricorda qualcosa!
Oricalco in un medaglione che diventa una fonte energetica e indica il pericolo… aspetta, mi ricorda qualcosa!

Nel gioco l’oricalco è in grado di attivare i macchinari che provengono dall’antica civiltà perduta, dando quindi al metallo un potere energetico.

Un espediente uguale, per altro, a quello utilizzato in Atlantis, il film del 2001 della Disney, nel quale una gemma preziosa è capace di attivare tutta la tecnologia dell’isola. Il cartone – uno dei miei preferiti e se non l’avete ancora visto dovete vederlo se non altro per lo stile steampunk ispirato ai romanzi di Verne – e colloca la posizione di Atlantide nell’oceano Atlantico.

Un esempio del design steampunk del film
Un esempio del design steampunk del film

Visto che siamo sul blog di Wellentheorie, non posso non citare Marc Okrand, colui che ha inventato un sacco di linguaggi per film e serie tv (uno tra tutti: il Klingon per Star Trek), che per il film Atlantis ha sviluppato l’Atlantean, basato su parole delle lingue indoeuropee (non mi addentro per non sembrare troppo ignorate; ask to capo-massimo-del-blog per maggiori dettagli: è lei la specialista di lingue!).

Una curiosità del film è che se analizzato attentamente si possono notare un sacco di similitudini con l’anime Fushigi no umi no Nadia (in italiano Il mistero della pietra azzurra). Di questo anime magari parlerò in un’altra occasione con più precisione, ma cito solo Nadia, il personaggio protagonista, che per anni è stata in Giappone un simbolo sociale della lotta all’inquinamento e per la salvaguardia della natura. Nadia infatti è vegetariana e veniva utilizzata come vera e propria icona durante le lotte sociali degli anni ’90. 

Tornando alla Disney, non era la prima volta che prendeva un’idea di un’opera giapponese e la adattava per i suoi film. Infatti nel 1994 Il Re Leone aveva già copiato spudoratamente l’anime Janguru Taitei (in italiano Kimba il Leone Bianco), limitandosi a cambiare il nome del protagonista da Kimba a Simba.

Nota che non interesserà a nessuno: Kimba è stato il primo anime della mia infanzia.

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Per concludere, tornando ad Atlantide, Wellentheorie che mi pensa sempre, l’altro giorno è finita in un mercatino dell’usato e ha comprato il libro La Piramide di Atlantide (Raising Atlantis) – di Thomas Greanias. Appena riuscirò a leggerlo vi farò sapere se è un libro che merita o un mattone buono per livellare il vecchio divano traballante della nonna.

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#85 la macchina di anticitera

Prima di tutto, le spugne.

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Le spugne che abbiamo in casa sono sintetiche. Le spugne “vere”, i poriferi, sono animali marini. Organismi pluricellulari che vivono immobili, attaccati sui fondali del mare o delle acque dolci. Non hanno veri tessuti né organi: semplicemente, il costante flusso di acqua attraverso i loro corpi fornisce loro ossigeno e cibo (piccoli organismi e particelle organiche che si trovano nell’acqua). Dopo la morte, lasciano uno scheletro fibroso ed elastico, che fin da tempi remoti è stato pescato e usato per lavare, lavarsi, e altri scopi. scaletowidth La pesca delle spugne, tuttora esistente ma piuttosto rara, può avvenire sostanzialmente in due modi: con una rete, trainata da una barca, che raccoglie le spugne dal fondo del mare; oppure grazie a singoli tuffatori che si immergono per cercare le spugne migliori. Questi ultimi possono essere attrezzati con respiratori, ma anticamente l’unico metodo per immergersi era in apnea. Gli antichi pescatori greci di spugne usano in particolare la tecnica dell’immersione in apnea con la skandalopetra, ovvero una pietra, pesante circa una decina di chili, che viene usata come zavorra per l’immersione. 1411378966923_wps_21_Antikythera_Greece_map_jp

E poi, nell’ottobre dell’anno 1900, un gruppo di pescatori di spugne, in viaggio dall’Africa alla Grecia, viene bloccato da una violenta tempesta sulla piccolissima isola di Cerigotto, o Anticitera, o Aegila (in greco Αντικύθηρα, in inglese Antikythera).

L’equipaggio dei pescatori di spugne, capitanati da Dimitrios Kondos, ad Anticitera nel 1900.
L’equipaggio dei pescatori di spugne, capitanati da Dimitrios Kondos, ad Anticitera nel 1900.

Cosa fanno i pescatori di spugne per passare il tempo? Si immergono in cerca di spugne, ovviamente. Ed è così che, passeggiando sul fondo marino nei loro scafandri da palombaro, trovarono il relitto di una nave romana naufragata nel I secolo a. C., piena di statue anche molto più antiche, in bronzo, in marmo, e numerosi manufatti, utensili, oggetti di vario tipo (anfore, stoviglie, ceramiche, monete, gioielli,…).

Il recupero di un’anfora dal relitto di Anticitera nel 2013.
Il recupero di un’anfora dal relitto di Anticitera nel 2013.

Negli anni immediatamente successivi alla scoperta sono stati recuperati molti reperti, e nuove ricerche si sono svolte negli anni Cinquanta e Settanta su iniziativa di Jacques Cousteau, e poi in anni recentissimi, portando alla luce robe tipo queste:

L’efebo di Anticitera (bronzo)
L’efebo di Anticitera (in bronzo)
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La “testa di filosofo” di Anticitera

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Tra i reperti trovati nel 1900-01 c’era anche una serie di pezzi di bronzo, incrostati e corrosi. Nel 1902 l’archeologo Valerios Stais li studiò e si accorse che si trattava di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni in greco ellenistico (o koinè), che formavano un elaborato meccanismo, chiuso all’interno di una scatola di legno delle dimensioni di 34 x 18 x 9 cm. Venne chiamato Macchina di Anticitera (o meccanismo di Anticitera, in inglese Antikythera mechanism), e si pensò che fosse una delle prime forme di orologio meccanizzato.

la parte principale

Il congegno non è completo: è stato ritrovato in frantumi, e attualmente sono stati recuperati e riconosciuti 82 frammenti, 7 dei quali costituiscono il meccanismo principale, ma potrebbero esserci altri pezzi ancora da scoprire.

frammenti

Soltanto dopo circa settant’anni e molti studi, si è capito cosa fosse e come funzionasse. Molto più sofisticato di un semplice orologio, è il più antico calcolatore meccanico conosciuto, usato per elaborati calcoli astronomici e previsioni. Gli ingranaggi di ruote dentate servivano per calcolare il sorgere e il tramontare del sole, le fasi lunari, le eclissi, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, gli anni, i mesi, i giorni della settimana, i segni zodiacali, addirittura le date dei giochi olimpici antichi. (I cinque pianeti conosciuti fin dall’antichità sono quelli visibili a occhio nudo, cioè Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Mancano Urano, scoperto soltanto nel 1781 da William Herschel, e Nettuno, scoperto nel 1846 da Johann Gottfried Galle, entrambi tramite un telescopio. Plutone, scoperto nel 1930 da Clyde Tombaugh, è stato classificato come il “nono pianeta” fino al 2006, quando è stato riclassificato come pianeta nano). sistema solare Il meccanismo di Anticitera è conservato nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme a una ricostruzione. È stato datato intorno al 150-100 a.C. e si pensa sia stato costruito da scienziati greci.

Lo schema di una possibile ricostruzione.
Lo schema di una possibile ricostruzione.

È considerato il più antico computer analogico conosciuto. Il meccanismo di Anticitera è talmente complesso e unico nel suo genere, e danneggiato dai duemila anni passati sotto il mare, che finora sono state proposte numerose ipotesi sul suo funzionamento e sulla sua origine, ma le certezze sono poche.

Una rappresentazione schematica proposta da Freeth e Jones nel 2012.
Una rappresentazione schematica proposta da Freeth e Jones nel 2012.

Non è probabilmente l’unico congegno di quel tipo che fu progettato e costruito in quel periodo, ma è l’unico ad essere arrivato fino ai giorni nostri. La sua complessità tecnica è stupefacente, e le conoscenze necessarie alla sua realizzazione devono poi essere andate perdute, perché per ritrovare tecnologie paragonabili bisogna aspettare fino alla fine del Medioevo, cioè più di un millennio. Ma c’è chi non crede che gli antichi fossero arrivati a un livello di conoscenza e tecnologia così sofisticato: manufatti come il meccanismo di Anticitera vengono considerati “anacronistici”, e per dare una spiegazione si ricorre a viaggi nel tempo, contatti con gli alieni, antiche civiltà segrete e altre teorie del complotto. Il meccanismo di Anticitera è considerato un caso di OOPArt (Out Of Place ARTifacts, “manufatti fuori posto”) dai sostenitori dell’archeologia misteriosa, che non credono possa davvero appartenere all’età ellenistica perché tecnologicamente troppo avanzato. In realtà, pur essendo un reperto unico nel suo genere, è perfettamente compatibile con le conoscenze tecniche e astronomiche degli antichi greci (o meglio, delle conoscenze che gli studiosi pensano che gli antichi greci possedessero). “Molti OOPArt hanno infatti ricevuto un’interpretazione del tutto coerente con le attuali conoscenze archeologiche e scientifiche. In tutti quei casi in cui non si è data una risposta, ciò si deve al fatto che non si è ancora capito il tipo di utilizzo che aveva l’oggetto”. Altre volte si tratta di falsificazioni o di datazioni sbagliate. OOPArt Teorie di questo tipo sono spesso sostenute dai creazionisti: per motivi che, onestamente, non ho capito, sarebbero prove schiaccianti della giovane età della Terra (creata tra i 6 mila e i 12 mila anni fa come è scritto nella Bibbia, non formata circa 4,54 miliardi di anni fa come sostengono i miscredenti), del diluvio universale e della falsità dell’evoluzionismo.

La stima dell’età della Terra attualmente più condivisa dalla comunità scientifica è 4,54 miliardi di anni – lo dice anche Google.
La stima dell’età della Terra attualmente più condivisa dalla comunità scientifica è 4,54 miliardi di anni – lo dice anche Google.

L’archeologia misteriosa, (o fantarcheologia, criptoarcheologia, archeologia alternativa, pseudoarcheologia) è “una sorta di archeologia pseudoscientifica che dà una interpretazione non scientifica di reperti archeologici o di presunti tali”. La branca dell’ufologia che studia i presunti avvistamenti di UFO nel passato anche remoto si chiama clipeologia o paleoufologia, ed è considerata una pseudoscienza, mentre la teoria che gli extraterrestri abbiano contattato e influenzato antiche civiltà umane è la teoria degli antichi astronauti (o teoria del paleocontatto o paleoastronautica). Ancient_astronaut_hypothesis