Hudson e il passaggio a nord-ovest

Henry Hudson era nato in Inghilterra attorno al 1570, e faceva l’esploratore. Intraprese vari viaggi con lo scopo di trovare un passaggio a nord-ovest che collegasse l’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico e che avrebbe permesso di navigare dall’Europa all’Asia attraverso il Mar Glaciale Artico.
Era dalla fine del Quattrocento che questa rotta veniva cercata senza successo, e Henry Hudson non fece eccezione.

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(Mappa da Mapswire, CC BY 4.0, modificata da Wellentheorie)

Nel 1609 Henry Hudson ottenne dei finanziamenti della Compagnia Olandese delle Indie Orientali e partì a bordo della Halve Maen (“Mezzaluna”) andando a esplorare la costa orientale del Nord America, tra cui le zone che attualmente chiamiamo Cape Cod, il Maine, le città di New York e Albany.

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Sì, esistono dei meme su Henry Hudson. (Da un tweet di Albany Archives).

L’anno successivo, finanziato stavolta dagli inglesi e a bordo della Discovery, raggiunse le coste dell’attuale Canada e navigò per uno stretto e una baia che presero i nomi di Stretto di Hudson e Baia di Hudson (Hudson Strait e Hudson Bay).

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I viaggi di Henry Hudson (il primo in rosso, il secondo in blu).

All’epoca non c’era Google Maps e, quando navigavi in uno stretto e entravi in una baia, non sapevi dove ti avrebbe portato: magari in Asia, magari bloccato tra i ghiacci.

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Su Twitter esistono almeno un paio di simpatici account a nome di Henry Hudson. (Fonte)

«A novembre la nave rimase intrappolata nei ghiacci nella Baia di James [un’insenatura della baia di Hudson], cosicché l’equipaggio sbarcò a terra per passare l’inverno. Quando il ghiaccio si sciolse nella primavera del 1611, Hudson avrebbe voluto continuare l’esplorazione, ma l’equipaggio voleva tornare a casa. Alla fine la crisi sfociò nell’ammutinamento dell’equipaggio nel luglio del 1611, e Hudson, suo figlio e altri uomini vennero abbandonati alla deriva in una piccola barca.» E qui Wikipedia conclude, lapidaria, così: «Non furono più visti».

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L’ironia su Twitter.

Dopo i fallimenti di Henry Hudson, si continuò a cercare il passaggio a nord-ovest.
Tra i primi a trovarlo ci fu il norvegese Roald Amundsen (1872 – 1928), il quale annovera tra i propri meriti anche aver ispirato il nome di battesimo di Roald Dahl (ne avevo parlato qui).
Nel 1903 Roald Amundsen partì per una spedizione: la sua nave, Gjøa, attraversò la Baia di Baffin (a nord della Baia di Hudson), arrivò lungo la costa dell’isola di Re William e rimase bloccata dai ghiacci per due anni, durante i quali Amundsen e il suo equipaggio girarono in slitta nei dintorni determinando la posizione del Polo Nord Magnetico e facendo amicizia con gli Inuit. Nel 1905 la Gjøa ripartì, rimase di nuovo bloccata nel ghiaccio, e alla fine arrivò allo stretto di Bering nel 1906.
Come si può intuire, le acque attorno al Polo Nord sono spesso ghiacciate. Ma negli ultimi anni, in conseguenza del riscaldamento globale, i ghiacci sono sempre meno ghiacciati e il passaggio a nord-ovest è percorribile anche da grandi navi commerciali.

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Le esplorazioni dell’artico. Quella di Amundsen in azzurro.

Northwest Passage (Passaggio a nord-ovest), oltre a essere un romanzo del 1937 dello scrittore statunitense Kenneth Roberts, è il titolo originale della serie Twin Peaks (1990-1991) di David Lynch e Mark Frost (della quale quest’anno è uscita la terza stagione, attesa per 25 anni) ed è il titolo di un episodio della serie Fringe (stagione 2, episodio 21) ricco di atmosfere alla Twin Peaks.

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Joshua Jackson (Peter Bishop) nel suddetto episodio di Fringe: il legno sulle pareti fa subito Twin Peaks.

Ma torniamo al 1609, quando Henry Hudson, inglese temporaneamente al servizio degli olandesi, esplora l’attuale Manhattan e risale, per un tratto, il fiume che in quel punto affluisce al mare: l’attuale fiume Hudson.
Queste esplorazioni pongono le basi per il primo vero e proprio insediamento in quella zona, che è olandese e risale al 1625: si chiama Nuova Amsterdam (Nieuw Amsterdam).
Quarant’anni dopo, in seguito a una guerra tra inglesi e olandesi, Nieuw Amsterdam diventa britannica e diventa New York, in onore del Duca di York e Albany, futuro Re Giacomo II Stuart (1633-1701), ultimo re cattolico d’Inghilterra, Scozia, e Irlanda (il suo successore, o succeditrice, fu la figlia Maria II, protestante).
Nel 1673, durante una nuova guerra anglo-olandese, gli olandesi occupano la città e si affrettano a cambiarne il nome, stavolta in New Orange (in onore di Guglielmo III d’Orange, il quale, peraltro, pochi anni dopo avrebbe sposato Maria II Stuart, la figlia di Giacomo II, che poi era sua cugina di primo grado). Un anno dopo, finita la guerra, New Orange torna britannica e torna a chiamarsi New York.

Vi ho fatto uno schemino perché il discorso è complesso:
Nieuw Amsterdam New York Duca di York e Albany Re Giacomo II Stuart Nieuw Orange Guglielmo III d’Orange Maria II Stuart
(L’albero genealogico degli Stuart, martoriato dalle modifiche di Wellentheorie, è di Wdcf da Wikipedia, CC BY-SA 3.0)

Proseguirei volentieri a disquisire del fiume Hudson e dei suoi ponti ma rischio di superare ogni limite di lunghezza imposto dalla decenza e dunque ci fermiamo.
Qui trovate un video istruttivo su Henry Hudson (da cui peraltro proviene l’immagine in evidenza di questo post).


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#104 andrés escobar

Il 21 maggio 1904, a Parigi, viene fondata la Fédération Internationale de Football Association, meglio conosciuta come FIFA. Nel 1930 a Montevideo, capitale dell’Uruguay, si svolge il primo Campionato mondiale di calcio (o Coppa del Mondo), la manifestazione più importante organizzata dalla federazione. Da allora il campionato si disputa ogni quattro anni (ad eccezione del 1942 e 1946 a causa della Seconda guerra mondiale).

uruguay

Estate 1994. Il quindicesimo campionato mondiale si tiene negli Stati Uniti. La nazionale ospitante viene sconfitta agli ottavi di finale dal Brasile, il quale invece prosegue trionfante fino alla finalissima.
Nel frattempo anche l’Italia è arrivata trionfante fino alla finalissima, e affronta il Brasile domenica 17 luglio 1994 al Rose Bowl, stadio di Pasadena utilizzato anche per partite di football americano e occasionalmente per concerti, ad esempio di Depeche Mode, Cure, Michael Jackson, Pink Floyd, Rolling Stones, U2. Hanno suonato lì anche i Guns N’ Roses e i Metallica durante il tour che hanno fatto insieme nel 1992 negli stadi di USA e Canada. Cambiando genere, il prossimo ottobre ci suoneranno i Coldplay.

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Il Rose Bowl.

Ma non divaghiamo.
Brasile-Italia. È il 17 luglio 1994, a Pasadena, e fa caldissimo.
Entrambe le nazioni hanno già vinto tre coppe del mondo, e le due squadre sono in equilibrio, tanto che il risultato si mantiene sullo zero a zero per i tempi regolamentari e i supplementari. Si va ai rigori.
Dopo il quarto rigore il Brasile si trova in vantaggio per tre a due. Tocca all’Italia: Roberto Baggio, col suo celebre codino, tira alto e sbaglia.

Per la prima volta la vittoria del campionato mondiale viene assegnata ai rigori. Per la prima volta una nazione raggiunge la quarta coppa del mondo, e non è l’Italia.

L’Italia vince poi il suo quarto mondiale nel 2006, in Germania, ed è la seconda volta nella storia della coppa del mondo in cui il risultato viene deciso ai rigori (è la partita che tutti noi ignoranti di calcio ricordiamo esclusivamente per la testata di Zidane a Materazzi). Nel frattempo però il Brasile aveva vinto il suo quinto mondiale nell’edizione precedente, e quindi niente, rimane un passo avanti.

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Ma torniamo a quel campionato del 1994.
Come ho recentemente appreso, il campionato ha una lunga fase preliminare, le qualificazioni, in cui vengono selezionate le squadre che si giocheranno la coppa del mondo nella fase finale, che è a sua volta composta dalla prima fase dei gironi e dalla seconda fase a eliminazione diretta.
Ai gironi di quel campionato del 1994 tra le squadre che sembravano promettenti c’era la Colombia. E invece inizia malissimo, perdendo con la Romania. La partita successiva la gioca il 22 giugno contro i padroni di casa, nello stesso Rose Bowl di Pasadena dove si giocherà la finale.
Al 34’ del primo tempo lo statunitense John Harkes tira, il portiere colombiano avanza per intervenire, arriva Andrés Escobar in scivolata e, accidentalmente, fa finire il pallone in rete. Nella sua rete. Autogol. Più avanti ognuna delle due squadre segna un gol, ma l’autorete di Escobar determina la vittoria degli Stati Uniti, e la Colombia se ne torna inaspettatamente a casa senza arrivare neanche agli ottavi di finale.

Andrés Escobar Saldarriaga, ventisettenne, era difensore del Nacional di Medellín e della Nazionale colombiana. Più precisamente, era il terzino destro e giocava con la maglia numero 2. Scopro ora che il terzino, nel calcio, è un difensore laterale (per la rubrica “I misteri del lessico calcistico”). Lo chiamavano “El Caballero del Fútbol”. Nato e morto a Medellín. Era fidanzato da cinque anni con la dentista Pamela Cascardo, coi cui avrebbe dovuto sposarsi pochi mesi dopo.

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Alle tre di mattina del 2 luglio 1994, pochi giorni dopo il rientro il patria, Andrés Escobar viene assassinato con sei colpi di pistola nel parcheggio di un bar di Medellín (altre fonti parlano di dodici colpi di mitragliatrice). Gli spari esplodono, pare, dopo una violenta discussione tra il calciatore e alcuni uomini che lo incolpano dell’eliminazione della Colombia dal mondiale. L’esecutore, Humberto Muñoz Castro, viene arrestato la sera successiva e confessa. Doveva essere parecchio amareggiato per l’autogol.

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Humberto Muñoz Castro

Ma c’è da dire che Muñoz lavorava per Pedro David e Juan Santiago Gallón Henao, “imprenditori” del narcotraffico. In tanti sostengono che l’omicidio sia in realtà legato al giro di scommesse clandestine in cui erano coinvolti i vari cartelli della droga colombiani, estremamente potenti e alquanto spregiudicati in fatto di omicidi. I fratelli Gallón Henao avevano forse scommesso sulla qualificazione agli ottavi della Colombia e subìto grandi perdite a causa dell’autogol di Escobar. Comunque, Humberto Muñoz Castro viene inizialmente condannato a 43 anni di carcere e poi rimesso in libertà nel 2005 dopo 11 anni. I Gallón Henao ricevono una condanna di quindici mesi ed escono dopo poche settimane.

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Escobar è un cognome parecchio diffuso in Colombia, e il calciatore Andrés lo condivide col celebre narcotrafficante Pablo (Pablo Emilio Escobar Gaviria), pur non essendo imparentati neanche alla lontana. Re della cocaina, criminale più ricco della storia, mandante di un’assurda moltitudine di omicidi, protagonista della serie tv Netflix Narcos, Pablo Escobar è morto sette mesi prima di Andrés Escobar, e si dice che se il narcotrafficante fosse stato ancora vivo, il calciatore non sarebbe mai stato ucciso. Perché Pablo Escobar era un grande tifoso dell’Atletico Nacional di Medellin in cui giocava Andrés Escobar, e lo aveva finanziato con ingenti donazioni di denaro ed equipaggiamenti. Sosteneva anche altre squadre locali, e fece costruire stadi. Era una strategia perfetta per ottenere consenso popolare e riciclare colossali quantità di denaro.

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Pablo Escobar

Nonostante sia stato uno dei criminali più sanguinari di sempre, Pablo Escobar era venerato da una buona parte del popolo colombiano. Anche perché la percezione comune era che il suo unico crimine fosse vendere cocaina agli americani, i gringos già di per sé non molto amati in Sudamerica, che peraltro chiedevano e pagavano quella droga. In questo senso Pablo Escobar appariva come un commerciante onesto, che dava lavoro a tanta povera gente in Colombia e che inoltre si impegnava altruisticamente in beneficienza. Le brutali uccisioni di criminali rivali, poliziotti e politici onesti, e di innumerevoli innocenti, tendevano a passare inosservate ai colombiani così come ai consumatori di coca americani. Tutto questo è descritto molto bene nella già nominata serie tv Narcos e in documentari come Los Tiempos de Pablo Escobar (entrambi disponibili su Netflix).

 

#77 harun e il mar delle storie

Harun e il mar delle storie (Haroun and the Sea of Stories) è un romanzo per ragazzi di Salman Rushdie, originariamente scritto per il figlio Zafar e pubblicato per la prima volta nel 1990.

Haroun

Il protagonista Harun è un ragazzino. Suo padre, Rashid Khalifa, fa il raccontastorie di professione, ed è soprannominato “il famoso Scià del Bla-bla” (The Shah of Blah). Ogni volta che Harun gli chiede da dove arrivino tutte le storie che sa raccontare, sempre nuove e bellissime, Rashid spiega che beve l’Acqua di Storie, dal Rubinetto (invisibile) delle Storie, collegato direttamente al Grande Mar delle Storie. Le vicende portano Harun su Kahani, la seconda Luna della Terra, invisibile dal nostro pianeta. Su questa luna si trova l’Oceano delle Storie, composto da un numero infinito di storie, ognuna delle quali appare come una corrente di un colore unico. Kahani ha una faccia perennemente illuminata dal sole, luminosa e calda: è la Terra di Gup, dove sorge Gup City. Il loro esercito è fatto di “Pagine” (soldati che indossano tuniche rettangolari, coperte di scritte, proprio simili a grandi pagine) e guidato dal generale Kitab. La Faccia Buia di Kahani, invece, è eternamente nell’oscurità, fredda e silenziosa. È la Terra di Chup, abitata dai Chupwala e governata dal Gran Sacerdote Khattam-Shud. Khattam-Shud, il vero cattivo del libro, predica l’odio per le storie, le fantasie e i sogni:

È il Nemico numero uno di tutte le Storie, e anche della Lingua. È il Principe del Silenzio e l’Antagonista della Parola.

Khattam-Shud venera Bezaban, divinità senza lingua, rappresentato da un’enorme statua di ghiaccio, e pratica la Religione del Mutismo. Per questo, con le Leggi sul Silenzio, ha vietato a tutti i suoi sudditi di parlare. Il piano diabolico di Khattam-Shud prevede di inquinare l’Oceano con un veleno capace di alterare e rovinare le storie, e in più cerca di tappare la Fonte delle Storie, che dà origine all’Oceano. harun e il mare delle storie 4

La maggior parte dei nomi sono “parlanti”: hanno un preciso significato in lingua urdu e hindi. Ad esempio Kahani (कहानी) significa “storia”, Kitab (किताब) “libro”, Gup “pettegolezzo”, “sciocchezza” o “frottola”, Chup (चुप) “silenzioso”, Khattam-Shud “assolutamente finito”, Bezaban “senza lingua”. Mentre i nomi dei protagonisti Harun e Rashid Khalifa derivano da Hārūn al-Rashīd: un califfo (khalīfa) realmente esistito e protagonista di numerose avventure, inventate ma ispirate alla sua vita e alla sua magnifica corte, in Le mille e una notte. Harun e il mar delle storie è una classica fiaba, in cui i buoni combattono contro i cattivi, e c’è anche una principessa da salvare. Ma è ricca di riferimenti letterari e di allegorie a problemi sociali reali, sempre attuali. È un grande elogio all’arte di raccontare, all’amore per le discussioni, alla libertà di parola. La guerra tra i chiacchieroni di Gup City e i silenziosi Chupwala è breve e non cruenta. L’esercito di Gup, dopo aver discusso minuziosamente su tutto, in combattimento si rivela compatto e solidale, mentre i loro avversari “si tradivano, si pugnalavano alla schiena, si ammutinavano”, perché “il voto del silenzio e l’abitudine alla segretezza li avevano resi sospettosi e diffidenti l’uno dell’altro.” I vincitori (che sono ovviamente i buoni, perché il lieto fine è inevitabile!) si limitano a neutralizzare Khattam-Shud e abbandonano ogni ostilità nei confronti della popolazione, anche perché la maggior parte dei sudditi non approvava quel capo crudele. Più che una contrapposizione è un’unione, la ricerca di un equilibrio. In questo senso mi sembra un bel libro, “inspiring”, educativo e anche divertente, soprattutto per ragazzi ma non solo. Salman Rushdie (che si pronuncia /sælˈmɑːn ˈrʊʃdi/, cioè non “Rascdi” ma “Ruscdi”) è nato a Bombay nel 1947 da una famiglia di fede islamica. The Satanic Verses

La sua opera più famosa è probabilmente I versi satanici (The Satanic Verses), del 1988, “una storia fantastica ma chiaramente allusiva nei confronti della figura di Maometto, e ritenuta blasfema dagli islamici”. Il libro fece ottenere a Rushdie una fatwa dell’ayatollah Ruḥollāh Khomeynī (sciita fondamentalista, capo spirituale e politico dell’Iran dal 1979 al 1989), che ne decretò la condanna a morte per bestemmia. Lo scrittore riuscì a salvarsi rifugiandosi nel Regno Unito, dove fu comunque costretto a vivere sotto protezione. Il traduttore giapponese del romanzo, Hitoshi Igarashi, fu ucciso nel 1991 da emissari del regime iraniano. Lo stesso anno il traduttore italiano, Ettore Capriolo, fu pugnalato ma si salvò. Infine l’editore norvegese, William Nygaard, fu ferito a colpi d’arma da fuoco nel 1993. kill salman Lo stile narrativo di Rushdie è stato spesso descritto come realismo magico. Wikipedia elenca le caratteristiche ricorrenti in molti romanzi del realismo magico, ad esempio: •    Contiene un elemento magico e sovrannaturale (o paranormale). •    L’elemento magico può essere intuito ma non è mai spiegato. •    I personaggi accettano, invece di mettere in questione, la logica dell’elemento magico. •    Distorsioni temporali, inversioni, ciclicità o assenza di temporalità. •    Incorpora leggenda e folklore. Tra gli scrittori del Realismo magico, Wikipedia cita Gabriel García Márquez, Luis Sepulveda, Isabel Allende, Jorge Luis Borges, Italo Calvino, Dino Buzzati, William Faulkner, Haruki Murakami, Michail Afanas’evič Bulgakov, Nikolaj Vasil’evič Gogol’, Franz Kafka. A proposito di questi ultimi due: Rushdie li cita in Harun e il mar delle storie, quando un abitante della Terra di Chup tenta per la prima volta di parlare dopo anni di silenzio forzato: harun e il mare delle storie 1 Nonostante sia uno degli uomini più brutti del pianeta, Rushdie è stato sposato quattro volte. Dalla prima moglie, Clarissa Luard, ha avuto un figlio, Zafar, nato nel 1979, a cui è dedicato Harun e il mare delle storie. La sua seconda moglie è stata Marianne Wiggins, scrittrice americana. Dalla terza moglie, Elizabeth West, ha avuto un altro figlio, Milan, nato nel 1999.

Salman Rushdie con i figli Milan, 15 anni, e Zafar, 33.
Salman Rushdie con i figli Milan, 15 anni, e Zafar, 33.

Infine, dal 2004 al 2007, Rushdie è stato sposato con Padma Lakshmi: indiana-americana, modella e attrice, conduttrice di Top Chef, autrice di libri di cucina.

Padma Lakshmi
Padma Lakshmi
Ironia.
Ironia.

Padma Lakshmi è 23 anni più giovane di Rushdie. È nata nel 1970 a Chennai, in India, e la sua lingua madre è il Tamil.

india political map

Chennai (ex Madras) è la quarta città più grande dell’India e la capitale del Tamil Nadu, uno stato del sud-est dell’India, la cui lingua ufficiale è il tamil, una lingua dravidica meridionale parlata anche in Sri Lanka e Singapore. In India si parlano almeno 180 lingue diverse, le più diffuse appartengono a due grandi famiglie linguistiche: indoariana (parlate da circa il 74% della popolazione) e dravidica (circa 24%). Le lingue indoarie sono indoeuropee (come latino e greco e tutte le lingue moderne da loro derivate, ma anche inglese, tedesco e molte altre), mentre la famiglia dravidica non ha connessione con nessuna delle altre famiglie linguistiche conosciute. Tra le lingue indoarie ci sono ad esempio l’hindi (la lingua più parlata e anche lingua ufficiale del governo), il bengalese, il marathi, il panjabi, l’urdu.

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Trivia: Salman Rushdie era tra i personaggi famosi spariti nel nulla il 14 ottobre, in The Leftovers (si vede al telegiornale, insieme a Condoleezza Rice, Jennifer Lopez, papa Ratzinger e altri). rushdie the leftovers

Uno dei creatori di The Leftovers è Damon Lindelof: uno degli sceneggiatori principali di Lost.

Lindelof
Damon Lindelof

Di riferimenti culturali in generale, e di libri in particolare, in Lost, ce ne sono tantissimi, e quasi sempre sono stati scelti per un motivo preciso. Su Lostpedia c’è un elenco completo e molto accurato di tutti i libri apparsi o citati nella serie. C’è una lista simile su Goodreads. E poi c’è il tizio di questo blog, che si è impegnato a leggere molti di questi libri e ci ha scritto dei post, anche nel tentativo di capire il perché del riferimento e l’eventuale simbolismo nascosto. Uno di questi libri è Harun e il mar delle storie. desmondbook2210

La sesta (e ultima) stagione di Lost introduce una nuova tecnica narrativa: i flash sideways. Nel primo episodio della stagione, “LA X.”, il flash sideways è ambientato sull’aereo, l’Oceanic Flight 815. Qui Jack incontra Desmond, che sta leggendo Harun e il mar delle storie. Il libro potrebbe dare qualche indizio sulla natura di questa diversa timeline, di questa realtà alternativa presentata nei flash sideways. Ho letto alcune interpretazioni a riguardo, e non so quanto possano essere sensate. Comunque. L’intera esperienza di Harun su Kahani, che costituisce la parte centrale e principale del libro, assomiglia un po’ alle vicende dei personaggi di Lost sull’isola, cioè: è un luogo reale? È successo davvero? È stato solo un sogno, un’allucinazione di qualche tipo? Il finale del libro non chiarisce la questione riguardo a Kahani, e ci lascia nel dubbio. E neanche il finale di Lost era proprio chiarissimo. Il romanzo, come un po’ tutte le fiabe, basa la sua trama fondamentalmente sull’opposizione tra il bene e il male, la luce e il buio, la parola e il silenzio: una simile contrapposizione si vede in Lost tra Jacob e “The Man in Black” o “Smoke Monster”. Quando Harun beve un bicchiere d’acqua dell’Oceano delle Storie, che è stato però inquinato dal cattivo Khattam-Shud, la storia è stata rovinata, il lieto fine è diventato tragico. I buoni dovranno fermare Khattam-Shud e ripulire il mare dal veleno, in modo che le storie tornino belle come prima. Le due diverse timeline nella sesta stagione potrebbero essere un po’ questo: una è la storia “giusta”, quello che sarebbe dovuto accadere, e l’altra è il risultato di qualcosa che andato storto, che non ha seguito il giusto corso degli avvenimenti.

il film della domenica: #4 the thirteenth floor

E adesso fantascienza!
Il tredicesimo piano (The Thirteenth Floor) è un film del 1999 diretto da Josef Rusnak, con Craig Bierko, Armin Mueller-Stahl, Gretchen Mol, Vincent D’Onofrio, Dennis Haysbert. È tratto dal romanzo Simulacron 3 di Daniel F. Galouye, scritto nel 1964 e già portato sullo schermo nel 1973 da Rainer Werner Fassbinder in Il mondo sul filo.
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Il tema centrale è la realtà simulata, e l’impossibilità di distinguere con certezza cosa è reale e cosa è virtuale. Questo dovrebbe subito far tornare in mente celebri frasi di Morpheus, tipo:

What is real? How do you define real? If you’re talking about what you can feel, what you can smell, what you can taste and see, then real is simply electrical signals interpreted by your brain.

L’argomento, quindi, e anche l’anno di uscita sono gli stessi di Matrix dei Wachowski: quest’ultimo è complessivamente molto più figo, è stato prodotto con un budget ben maggiore e ha avuto infinitamente più successo del povero Tredicesimo piano, che ha ricevuto soprattutto recensioni negative. Ma anche Il tredicesimo piano non è male, e qualcuno scrive addirittura che è meglio di Matrix.

Il meme Morpheus Cat, anche se in realtà Morpheus non ha mai detto esattamente “What if I told you…” in nessuno dei film di Matrix. Non c'entra, ma è divertente.
Il meme Morpheus Cat, anche se in realtà Morpheus non ha mai detto esattamente “What if I told you…” in nessuno dei film di Matrix. Non c’entra, ma è divertente.

L’idea di base è più o meno quella del “brain in a vat” o “brain in a jar”: un cervello, rimosso dal cranio e in qualche modo tenuto in vita all’interno di un contenitore, potrebbe venire collegato a un supercomputer capace di trasmettergli impulsi elettrici identici a quelli normalmente ricevuti da un normale cervello all’interno di un normale cranio umano. Il computer potrebbe simulare una realtà, includendo risposte appropriate agli output del cervello. Il cervello continuerebbe così ad avere una normale percezione del mondo esterno e di se stesso come persona, continuerebbe ad avere normali interazioni con l’ambiente che lo circonda, convinto che la sua realtà sia la vera realtà, del tutto inconsapevole di essere un cervello in un barattolo che ha a che fare con una realtà simulata. Anzi, il cervello non avrebbe alcuna possibilità di scoprire di essere un cervello in un barattolo. Quindi, teoricamente, ognuno di noi potrebbe essere un cervello in un barattolo, e non abbiamo alcuna prova per dimostrare il contrario.
Si tratta di un tema ricorrente nei racconti di fantascienza, ma a parte le tecnologie avanzate e i supercomputer, è una questione di cui si parla fin dall’antichità: come possiamo essere sicuri che ciò che percepiamo come reale sia davvero reale? Come facciamo a distinguere ciò che sappiamo da ciò che crediamo?
brain in a vat
Nel film, alcuni personaggi si accorgono di trovarsi all’interno di una realtà simulata perché arrivano al limite, dove la simulazione finisce, e si trovano davanti un wire frame model, letteralmente un modello in fil di ferro, cioè quella rappresentazione grafica di oggetti tridimensionali in cui sono disegnati soltanto i bordi degli oggetti.
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Wikipedia ha una lunga lista di “Simulated reality in fiction”. Tra i film citati ci sono Nirvana, di Gabriele Salvatores (1997), Abre los Ojos, di Alejandro Amenábar (1997) e il suo remake americano Vanilla Sky, di Cameron Crowe (2001), Synecdoche, New York, di Charlie Kaufman (2008), Source Code, di Duncan Jones (2011) che è piuttosto bello (Duncan Jones è il figlio di David Bowie. Secondo me era particolarmente bello il suo primo film, Moon, del 2009, con Sam Rockwell). La lista include anche The Truman Show (1998) e persino Good Bye Lenin! (2003), dove in effetti c’è una realtà simulata, anche se ha ben poco di super tecnologico e computeristico.

Il tredicesimo piano è il film più famoso del regista tagiko Josef Rusnak. Tagiko cioè della Repubblica del Tagikistan, o Tagichistan, uno stato dell’Asia centrale confinante con Afghanistan, Cina, Kirghizistan e Uzbekistan (non ha uno sbocco al mare).
The Caucasus and Central Asia Political Map 2000
Tutti gli attori principali de Il tredicesimo piano sono relativamente famosi e hanno fatto decine di film, ma in particolare mi vorrei soffermare su Craig Bierko, che interpreta il protagonista. Attore statunitense, nato nel 1964, ha recitato anche in un paio di episodi nella quarta stagione di Sex and the City, in cui faceva Ray King, proprietario di un locale e ossessionato dal jazz, con cui Carrie è uscita un po’, ma poi mi sa che si è rimessa con Mr. Big, come al solito.
craig bierko sex city
Il finale del film è ambientato nel futuro, nel 2024: così ho scoperto che Wikipedia ha una pagina per ogni anno, e non solo degli anni passati, ma anche di quelli futuri. Ovviamente non c’è molto da dire, sul 2024, a parte che sarà il MMXXIV in numeri romani, sarà un anno bisestile, la Pasqua cattolica cadrà il 31 marzo, è prevista un’eclissi solare totale per l’8 aprile, ci saranno i Giochi olimpici estivi e gli Europei di calcio.
2024

#69 alcune cose che ho imparato quest’estate.

Un post cumulativo dopo l’inattività di agosto (sì, sono tornata, ciao).

● La pagina Wikipedia sugli scarafaggi è scritta con grande amore: “Sono insetti cosmopoliti […] dai colori poco appariscenti […] sono generalmente insetti con abitudini notturne, e piuttosto schivi. Sono cattivi volatori ma, in compenso, eccezionali corridori, dotati di una notevole velocità di movimento. Hanno uno spiccato senso di orientamento”. La ciliegina sulla torta: “Un altro aspetto comportamentale di notevole importanza, sotto l’aspetto pratico, è l’abitudine degli scarafaggi a defecare e rigurgitare durante l’alimentazione sullo stesso substrato.”
Imperdibile il paragrafo “Gli scarafaggi nei media e nella cultura”, molto ben fatto, per quanto non regga il confronto col suo omologo anglofono “Cockroaches in popular culture”. L’incipit: “La stretta relazione fra l’uomo e alcuni Blattoidei ha inevitabilmente ispirato la citazione di questi insetti in molti contesti”.
La Wikipedia inglese parla di scarafaggi in grado di sopravvivere per un mese senza cibo, 45 minuti senz’aria, sott’acqua per mezz’ora, 12 ore sotto gli zero gradi centigradi. (C’è anche il paragrafo “Role as pests” che avevo letto “Role as pets” e mi stavo preoccupando…).
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È diffusa, ma non del tutto fondata, la leggenda metropolitana secondo cui gli scarafaggi sarebbero l’unica forma di vita a sopravvivere sul pianeta dopo una guerra nucleare. In effetti gli scarafaggi hanno una resistenza alle radiazioni molto più alta dei vertebrati, ma non particolarmente alta se paragonata a quella di altri insetti.
Al momento, la “forma di vita più resistente alle radiazioni del mondo” sembra essere il Deinococcus radiodurans, un batterio estremofilo, “in grado di resistere a dosi di radiazioni di gran lunga superiori a quelle necessarie per uccidere un qualsiasi animale. […] È, inoltre, in grado di sopravvivere a condizioni estreme di freddo, disidratazione, vuoto e acidità”. Per questi motivi è soprannominato Conan il Batterio.
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“Fu scoperto nel 1956 […] nel corso di un esperimento per determinare se il cibo in scatola potesse essere sterilizzato utilizzando alte dosi di raggi gamma. Una confezione di carne in scatola fu esposta ad una cospicua dose di radiazioni, ritenute sufficienti ad uccidere tutte le forme di vita in essa presenti, ma ad una successiva analisi dell’alimento irraggiato fu isolato il batterio.” E la trama si infittisce: “Un team di scienziati russi ed americani ha proposto che la radioresistenza di D. radiodurans abbia origini marziane. L’evoluzione del microrganismo potrebbe avere avuto luogo sulla superficie di Marte, per poi successivamente diffondersi sulla Terra come conseguenza di un impatto meteorico.” Il tuttavia guastafeste: “Tuttavia, a parte l’estrema resistenza alle radiazioni, D. radiodurans è geneticamente e biochimicamente molto simile ad altre forme di vita terrestri, una circostanza che depone contro l’ipotetica origine extraterrestre.”

● Per la serie: La Storia raccontata da Wellentheorie.
Quasi tutto il subcontinente indiano (gli attuali Stati di Pakistan, India e Bangladesh) è stato fino al 1947 dominio coloniale britannico. Tra le due guerre mondiali, si sviluppano e si diffondono nell’India britannica (come in molti altri paesi all’epoca sottoposti al colonialismo occidentale) ribellioni e movimenti anticoloniali e indipendentisti. In questo contesto, il più famoso è il Mahatma Gandhi, e tutta la sua teoria della lotta non violenta, la protesta tramite disobbedienza civile di massa, e quant’altro. L’abbandono della moda occidentale e il ritorno agli abiti tradizionali indiani (in particolare il dhoti) rientrano nella sua campagna per la “non cooperazione” e per il boicottaggio di tutto quello che era associato agli inglesi, e agli stranieri in genere.
young Gandhi gandhi
Dopo la seconda guerra mondiale, quando il governo inglese, laburista, si è ormai deciso a concedere l’indipendenza all’India, salta fuori un problema: i rappresentanti delle due confessioni religiose principali, induismo e islam, non riescono ad andare d’accordo, e vogliono essere divisi in due Stati diversi, autonomi. Gli inglesi dicono okay, si può fare, ma c’è un altro problema: le aree a maggiore diffusione musulmana sono due: una nell’estremo occidente, l’altra nell’estremo oriente. Gli inglesi, quindi, pianificano, al centro, il nuovo Stato dell’Unione indiana, a maggioranza indù, e un unico Stato a maggioranza musulmana, chiamato Pakistan, diviso però in due parti: il Pakistan occidentale e il Pakistan orientale. È il 1947. Gli inglesi dicono okay, vi abbiamo dato l’indipendenza, vi abbiamo disegnato due stati autonomi, ora siamo a posto, vivrete felici e contenti, prego, non c’è di che, figuratevi. Felici e contenti una beata minchia, pensano in coro tutti gli indiani: all’interno dei nuovi Stati vivono minoranze dell’altra religione (musulmani in India, indù in Pakistan) che dopo la divisione (Partition) fuggono in massa verso l’altro Stato. L’esodo è imponente e, nonostante le raccomandazioni gandhiane, tutt’altro che pacifico: le violenze sono atroci, da entrambi le parti. Le vittime sono molte. Inoltre, da subito, cominciano le contestazioni riguardanti i confini, in particolare riguardo al Kashmir, regione tuttora contesa tra India, Pakistan e Cina.
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Non è finita: il Pakistan orientale, scontento, dopo un po’ vuole staccarsi dal suo amico occidentale, e diventare uno Stato indipendente. Il Pakistan occidentale non vuole, e manda l’esercito a reprimere la ribellione indipendentista. Ma non c’è niente da fare contro i bengalesi incazzati: nasce così, nel 1971, lo Stato del Bangladesh.
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Due cose sul Pakistan: con più di 180 milioni di abitanti è il sesto Stato più popoloso del mondo, e il secondo maggior stato musulmano nel mondo dopo l’Indonesia. Il nome Pakistan è stato coniato nel 1933, come acronimo dei nomi delle regioni Punjab, Afghania (o Khyber Pakhtunkhwa, o North-West Frontier Province o NWFP o altri nomi), Kashmir, Indus (che dovrebbe essere un fiume), Sindh e Balochistan (o Belucistan).
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E poi, Indira Gandhi: non è la figlia del Mahatma Gandhi. Non è parente del Mahatma Gandhi. Lo so, alcuni libri lo dicono, ma non è vero: in realtà era la figlia di Jawaharlal Nehru, Primo Ministro indiano dal 1947 al 1964. Nata Indira Nehru, prese il cognome dal marito Feroze Gandhi, che non era imparentato con il Mahatma Gandhi.

● Non sono un’esperta di letteratura russa, ma quest’estate ho appreso che in ogni romanzo o racconto russo che si rispetti c’è almeno un samovar, e spesso si incontra anche una redingote.

Il samovar “è un contenitore metallico tradizionalmente usato in Russia, nei paesi slavi, in Iran, nel Kashmir e in Turchia per scaldare l’acqua” per fare il tè. Può avere diverse forme e dimensioni, e ne esistono anche di elettrici. Qui un video molto istruttivo.
samovar painting
Il samovar è un elemento ricorrente anche nei dipinti russi di ogni epoca e stile. (I quadri nell’immagine dovrebbero essere di Boris Kustodiev, Kazimir Malevich, Dmitry Zhuravlev, Kuzma Petrov-Vodkin, Sergey Kondrashov, Ievlev Boris Alexandrovich e Viktor Lyapkalo).
E così ho scoperto Viktor Lyapkalo, pittore: nella classifica dei suoi soggetti preferiti il samovar sembra essere secondo soltanto alle donne nude.
redingote
Redingote” viene dalla storpiatura francese dell’inglese “riding coat” (veste o mantello per cavalcare) o “raining coat” (mantello da pioggia). È una sorta di soprabito o cappotto, aderente in vita, lungo fino al ginocchio e con falde aperte nella parte posteriore, diffuso in Europa nel Settecento e nell’Ottocento.

human heart
● Il simbolo grafico del cuore stilizzato ha ben poco a che fare con l’effettiva forma di un cuore umano (nel disegno qui sopra).
Non si sa di preciso la sua vera origine: potrebbe rappresentare il cuore di una mucca (nella foto qui sotto), oppure varie rotondità femminili (seni, natiche, o vulva), oppure il seme di silfio, una pianta estinta che nell’antichità veniva utilizzata come contraccettivo.

beef heart

Virginia Woolf usa aggettivi come bislacco, recondito, imperituro, baldanzoso, proclive, garrulo, e personalmente mi sta molto simpatica.

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● Se avete visto The Leftovers e non vi è piaciuto, mi sa che non possiamo essere amici. Sappiatelo.
Stop-Wasting-Your-Breath

nora durst è il mio idolo

#67 giorno della marmotta

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Il Giorno della marmotta (Groundhog Day) è una festa tradizionale celebrata negli Stati Uniti e nel Canada il 2 febbraio.
Venne celebrata ufficialmente per la prima volta nel 1887, da immigranti tedeschi a Punxsutawney, un paesino in Pennsylvania che tuttora, ogni 2 febbraio, è il principale centro dei festeggiamenti. Praticamente la capitale della marmotta.
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Il protagonista della festa è Phil, la marmotta meteorologa: ogni 2 febbraio, all’alba, i membri del Comitato della marmotta (the Groundhog Club), tutti in abito da cerimonia, vanno alla tana del povero Phil, che viene svegliato da un colpo di bastone dal presidente del Groundhog Club. Phil emerge dalla sua tana, parla con il Presidente e gli confida le sue previsioni metereologiche (sì, i due parlano tra loro in “groundhogese” e si capiscono). L’evento è interamente trasmesso in tempo reale via webcam.
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Secondo la tradizione, se uscendo dalla tana Phil vede la propria ombra, perché il cielo è limpido, l’inverno durerà altre sei settimane, se invece non riesce a vedere la sua ombra perché il cielo è nuvoloso, l’inverno finirà presto e si avrà una primavera precoce (non ho capito per quale motivo sia necessario svegliare una marmotta, quando basterebbe alzare la testa e guardare se il cielo è limpido oppure nuvoloso…).
Pare che le previsioni di Phil si siano rivelate corrette il 39% delle volte. Ma Wikipedia si premura di precisare: “Ovviamente le capacità di meteorologo di Phil la marmotta non sono condivise dalla comunità scientifica”.
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Qua un video dell’ultimo giorno della marmotta, lo scorso 2 febbraio a Punxsutawney. Alcuni bambini nel pubblico hanno dei cappellini fantastici, delle cuffiette con la faccia di marmotta, che lo voglio assolutamente anch’io.
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Secondo la tradizione, Phil è la sempre la stessa marmotta che fa previsioni del tempo dal 1887 (una normale marmotta americana vive in media sei anni). Ecco cosa dice il FAQ del sito ufficiale: “Yes, Punxsutawney Phil is the only true weather forecasting groundhog. The others are just imposters. There has been only one Punxsutawney Phil. Punxsutawney Phil gets his longevity from drinking “groundhog punch” (a secret recipe).”
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Punxsutawney, insieme ad Alamogordo, è già in cima alla mia lista “Posti da visitare”. È un paesino di circa seimila abitanti, a 135 km da Pittsburgh. Il nome Punxsutawney deriva da un termine nativo americano che significa “città dei pappataci” o “città delle zanzare”.
La capitale della Pennsylvania è una città che secondo me nessuno ha mai sentito nominare, cioè Harrisburg.
Perché tanti nomi di città finiscono con -burg o -burgh o -borough o -bury? Dal latino burgus deriva l’antico germanico burg che significava città fortificata, e poi semplicemente città, di conseguenza è molto usato come suffisso nei toponimi, e soprattutto per luoghi di tipo difensivo, situati ad esempio in cima a una collina.
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Le marmotte (marmot in inglese) sono un genere di roditori che comprende diverse specie e sottospecie. La Marmota monax, detta marmotta americana in italiano e groundhog in inglese, è diffusa in Nordamerica (Stati Uniti settentrionali e Canada).

Il nome groundhog deriva semplicemente da ground (terra, terreno, suolo) e hog, cioè maiale, maiale selvatico o cinghiale, in senso letterale (riferito all’animale) e anche figurato (spregiativo, riferito a una persona). Ma cercando “hog”, i primi risultati di Google si riferiscono al Harley Owners Group, da cui deriva l’uso di “hog” con il significato di “moto”. Come tutti gli acronimi, HOG può voler dire altri miliardi di cose, tra cui House of Guitars, Hot Older Guy o Heavily Obese Girl.

L’origine dell’attuale Groundhog Day si deve a quei popoli di lingua germanica che, emigrati in Pennsylvania nell’Ottocento, portarono oltreoceano le loro tradizioni, tra cui quelle legate alla meteorognostica, ovvero quei sistemi non scientifici di previsioni del tempo che si basano sull’osservazione di fenomeni astrologici oppure di segni o eventi naturali, come ad esempio il comportamento di determinati animali. Si tratta di credenze popolari importanti soprattutto nella cultura contadina (sono fondamentali punti di riferimento per individuare i giorni più adatti per la semina, il raccolto, ecc.), e vengono tramandate oralmente attraverso proverbi o “regole meteorognostiche”, spesso in rima, come “Rosso di sera, bel tempo si spera”, o anche “Una rondine non fa primavera” (…ci vogliono molte più rondini!).

La data del Giorno della marmotta, il 2 febbraio, ha grande importanza simbolica: si trova tra il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno, e l’equinozio di primavera, in cui il giorno e la notte hanno la stessa durata. Segna quindi il passaggio tra l’inverno e la primavera, la fine del freddo più rigido, il momento in cui le giornate cominciano a farsi più lunghe.
“Gli equinozi occorrono a circa sei mesi di distanza l’uno dall’altro, più precisamente a marzo e a settembre del calendario civile; analogamente ai solstizi, essi sono convenzionalmente assunti come momento di avvicendamento delle stagioni astronomiche sulla Terra. Nell’emisfero boreale l’equinozio di marzo segna la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, mentre quello di settembre termina l’estate e introduce l’autunno.”
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Il Giorno della marmotta ha molto in comune con altre festività tradizionali, come la Candelora per i cattolici o l’Imbolc nella tradizione pagana.

Il 2 febbraio la Chiesa cattolica celebra la presentazione al Tempio di Gesù, popolarmente chiamata festa della Candelora (Candlemass in inglese), perché in questo giorno si benedicono le candele.
Gesù viene portato al Tempio di Gerusalemme come prescritto dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché una donna veniva considerata impura per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio, e doveva andare al Tempio per purificarsi.
In Francia, la Candelora (Chandeleur) è soprattutto la festa delle crêpes. Ne vengono preparate in tutti i modi. Il motivo è incerto: si dice che papa Gelasio I (400-496) usasse distribuire crêpes ai pellegrini che arrivavano a Roma, oppure la forma rotonda della crêpe potrebbe rappresentare il disco solare, evocando il ritorno della primavera dopo l’inverno buio e freddo.
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Tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera cade anche l”antica festa pagana gaelica di Imbolc. Imbolc in irlandese significa “in grembo”, in riferimento alla gravidanza delle pecore: in quel periodo vengono alla luce gli agnellini e le pecore producono latte. Latte, latticini e agnelli erano alimenti fondamentali per la sopravvivenza, sopratutto in relazione al freddo dell’inverno.
Imbolc è una delle otto festività della Ruota dell’Anno, che rappresenta il ciclo naturale delle stagioni attraverso la celebrazione di otto sabbat. Si tratta di antiche feste pagane, originarie dell’Europa settentrionale, che sopravvivono in epoca moderna nel neopaganesimo. Inoltre, a queste date corrispondono feste cristiane e laiche, che potrebbero avere origine proprio come adattamento delle feste pagane.
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I quattro sabbat maggiori sono Imbolc; Beltane o Beltain, tradizionalmente celebrata accendendo dei falò; Lughnasadh o Lammas, festa legata al raccolto e al ringraziamento per il pane (“Alcuni neopagani celebrano la festa cucinando una figura del Dio fatta di pane per poi sacrificarla e consumarla ritualmente”) e Samhain, conosciuta anche come Capodanno celtico, che ha probabilmente influenzato Halloween e Ognissanti.
I quattro sabbat minori corrispondo ai solstizi e agli equinozi. Yule, il solstizio d’inverno, corrisponde al Natale cristiano, il quale ne mantiene alcuni simboli e usanze, come il vischio, l’agrifoglio e l’albero di Natale. L’albero sempreverde, infatti, è simbolo della persistenza della vita nonostante il freddo e l’oscurità dell’inverno.
Ostara, l’equinozio di primavera, celebra la rigenerazione della natura e la rinascita della vita. […] Con la diffusione del Cristianesimo la festa di Ostara venne assimilata dalla Pasqua […] La nuova festa cristiana, ancora priva di un nome, in certe lingue assimilò anche la nomenclatura della vecchia festa. Ancora oggi, infatti, in inglese la Pasqua è chiamata Easter, e in tedesco Ostern.” Anche il coniglio e l’uovo sono elementi dell’antica tradizione che vennero inglobati nella festa cristiana.
Litha è il solstizio d’estate. Chiamato anche Midsummer, è tuttora ampiamente celebrato come tradizionale festa popolare soprattutto nell’Europa Settentrionale.
Mabon, l’equinozio d’autunno, “è una festa di ringraziamento per i frutti della terra e sottolinea la necessità di dividerli con gli altri per assicurarsi la benedizione del Dio e della Dea durante i mesi invernali.”
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Un inconsapevole collaboratore di questo blog, sentendo parlare di festa della marmotta, mi ha chiesto: “cioè, mangiano le marmotte?” (probabilmente influenzato dalle numerose feste non-vegetariane che si tengono da queste parti: festa della rana, della lumaca, dell’asina con polenta, ecc.). La risposta è no, mangiare marmotte non fa parte dei festeggiamenti del Groundhog Day, ma in generale le marmotte vengono cucinate e mangiate come qualsiasi altro essere vivente al mondo. In Italia la caccia alla marmotta dovrebbe essere vietata, ma esiste una ricetta tradizionale: la marmotta al lavec (il lavec è una pentola, tipica della Valtellina, costruita con la pietra ollare). Altre ricette, in inglese, qui (pare che la marmotta sappia di pollo). Oppure potete festeggiare il Groundhog Day con dei carinissimi e cruelty-free biscotti a forma di marmotta.
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Poi c’è anche un film che si chiama Groundhog Day ma casomai ne parlo un’altra volta.

#60 alamogordo

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Navigando, sono capitata per caso sulla curiosa pagina Wikipedia di Alamogordo, ridente cittadina del New Mexico prescelta dalla Storia del Novecento come teatro di due eventi peculiari.
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Durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti diedero inizio a un programma di ricerca, conosciuto con il nome in codice di Progetto Manhattan (Manhattan Project), che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche.
La seconda bomba atomica costruita nell’ambito del progetto, chiamata in codice Little Boy, fu sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945. La terza bomba, Fat Man, fu utilizzata tre giorni dopo contro Nagasaki.
La prima bomba (nome in codice The Gadget) era stata fatta esplodere durante il Trinity test, la mattina del 16 luglio di quello stesso anno, nei pressi di Alamogordo, nel deserto di Jornada del Muerto (già il nome, dato dai conquistadores spagnoli, non prometteva niente di buono).
The Gadget era una bomba al plutonio, come Fat Man, mentre Little Boy fu la prima bomba all’uranio.
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Trinity è stato il primo test per un’arma nucleare. Su internet si possono trovare vari filmati dell’esplosione (tipo questo e questo).

Prima del test, si era anche ipotizzato che un ordigno di quel genere potesse incendiare la Terra intera, uccidendo ogni forma di vita sul pianeta, o che almeno il New Mexico sarebbe stato incenerito, ma secondo i calcoli si trattava di eventualità improbabili.
L’esplosione produsse grande luce e calore. L’onda d’urto fu percepita fino a 160 km di distanza, e il fungo atomico (mushroom cloud) raggiunse 12 km in altezza. Addirittura un articolo pubblicato nel giorni seguenti parlò di una donna cieca che si trovava a 240 km di distanza e chiese “cos’è questa luce?”. Nel deserto rimase un cratere profondo 3 metri e largo 350. La sabbia, prevalentemente composta da silicio, fu sciolta dal calore dell’esplosione e diventò, solidificandosi, vetro di colore verde chiaro, leggermente radioattivo, chiamato trinitite (o anche vetro di Alamogordo o atomite). Il cratere venne riempito poco tempo dopo il test.
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Oggi, più di sessant’anni dopo, è possibile visitare il Trinity site e non è pericoloso, ma la radioattività residua è ancora circa dieci volte più alta del normale.

Per curiosità: ecco alcuni dei risultati che si ottengono cercando “Trinity” su Google immagini.
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Circa trentacinque anni dopo:
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Pac-Man fu originariamente ideato dal programmatore giapponese Tohru Iwatani (pare che l’idea gli sia venuta guardando una pizza a cui mancava una fetta) e pubblicato per la prima volta nel 1980 nel formato arcade da sala.
Il nome originale giapponese è Puckman, cambiato in Pac-Man per la sua commercializzazione negli Stati Uniti per paura che fosse storpiato in “Fuckman”.
Ha avuto da subito un grande successo, e negli anni sono state sviluppate numerose versioni per console e computer.

Atari acquistò i diritti di per convertire Pac-Man per le console domestiche. Cominciò subito una gigantesca campagna pubblicitaria e prevedendo un grande successo ne produsse 12 milioni di copie, nonostante le console Atari 2600 vendute all’epoca fossero solo 10 milioni: si sperava che Pac-Man avrebbe incrementato anche le vendite della console.
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Il gioco fu programmato da Tod Frye, a cui fu concesso poco tempo e poca memoria (un singolo chip di ROM da 4 KB). A causa delle grosse limitazioni hardware della console Atari 2600 il gioco perse molte delle sue caratteristiche originali: i colori erano pochi, i fantasmi seguivano semplici percorsi fissi, Pac-Man apriva e chiudeva la bocca anche da fermo, la frutta da mangiare era ridotta a piccoli rettangoli, ecc.
Il risultato finale, uscito nel 1982, fu molto criticato. Furono complessivamente vendute 7 milioni di copie, e Pac-Man risultò il gioco per la 2600 più venduto di sempre, ma il successo era comunque molto inferiore alle aspettative e Atari si ritrovò con 5 milioni di cartucce invendute.
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L’estate di quello stesso anno, il 1982, era uscito il film E.T. the Extra-Terrestrial di Steven Spielberg. Il successo fu colossale e scoppiò una “E.T. mania” in tutto il mondo.
Atari cercò di approfittarne, creando un videogioco per la console Atari 2600 basato sul film per sfruttarne la popolarità. Ottenne da Steven Spielberg la licenza per produrre il gioco pagando tra i 20 e i 25 milioni di dollari.
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Il compito di programmare il gioco fu affidato a Howard Scott Warshaw, che oggi ha 57 anni e fa lo psicoterapista (è conosciuto come “The Silicon Valley Therapist” e ha anche un blog).
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Warshaw dovette creare il gioco da zero in sole cinque settimane, in modo che il prodotto uscisse entro il Natale successivo.

Atari produsse 4 o 5 milioni di cartucce del gioco. I costi della licenza, della produzione e soprattutto della pubblicità erano stati altissimi. Ma il gioco era realizzato male, troppo in fretta, fu giudicato un prodotto scadente (qua un video). Le vendite furono basse e la maggioranza degli acquirenti restituì la cartuccia ottenendone il rimborso. Da Wikipedia: “E.T. è considerato uno dei videogiochi peggiori di tutti i tempi e uno dei più grandi flop commerciali della storia dei videogiochi.” “Secondo alcuni E.T. è così brutto che la parte migliore è la schermata iniziale.”
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Quasi tutte le copie prodotte rimasero invendute e tornarono indietro ad Atari, che si ritrovò con circa 5 milioni di cartucce di E.T. e altrettante di Pac-Mac, ingombranti e invendibili. Cosa fare in questi casi? Atari decise che una discarica nel Nex Mexico, ad Alamogordo, faceva al caso suo.
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Cominciò presto a diffondersi la notizia che Atari aveva sepolto ad Alamogordo una grande quantità di cartucce e console, provenienti da un magazzino in Texas. Ma la società non confermò ufficialmente e la sepoltura dei videogiochi Atari (Atari video game burial) fu per lo più considerata una leggenda metropolitana, fino al 26 aprile 2014, quando gli scavi collegati alla ripresa di un documentario sui videogiochi hanno effettivamente portato alla luce quelle cartucce.
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La causa fu la crisi dei videogiochi del 1983, cioè l’improvviso crollo del mercato dei videogiochi e la successiva bancarotta di molte aziende produttrici di computer e console, soprattutto negli Stati Uniti e in Canada. Troppi videogiochi erano stati introdotti sul mercato, in più erano gli anni del boom dei primi personal computer.

#53 mal di pietre

Mal di pietre è un brevissimo romanzo di Milena Agus. Pubblicato nel 2006, è stato tradotto in cinque lingue, ha avuto grande successo e ha vinto dei premi. Evidentemente ero distratta, perché non mi ero accorta di niente, e l’ho scoperto adesso.
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Il “male delle pietre” (su mali de is perdas) è l’espressione comune per calcoli renali, problema che affligge la protagonista, cioè la nonna della voce narrante. Il termine medico della patologia è calcolosi renale o nefrolitiasi: nefro- (dal greco nephros, rene) e litìasi (lithos, pietra).

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Milena Agus è nata a Genova da genitori sardi, e vive e lavora a Cagliari. Fa sempre una faccia buffa nelle foto, come se fosse a disagio perché non abituata a farsi fotografare.

La storia si svolge quasi tutta a Cagliari, quasi sempre nella casa di via Mallo, o in via Sulis, che, ho scoperto, esistono davvero (e ci si può anche passeggiare con la Street View. Grazie Google!!). Giuseppe Manno e Vincenzo Sulis sono entrambi personaggi storici sardi, vissuti tra Sette e Ottocento, rispettivamente di Alghero e di Cagliari.

Parole e frasi in sardo punteggiano il testo, sempre tradotte nelle note (perché il sardo è incomprensibile!).
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Il libro ripercorre vicende familiari, personali, sentimentali, mentre sullo sfondo scorre la storia nazionale: la guerra, la Resistenza, il dopoguerra, la miseria e le migrazioni verso il nord, nella grandi città sorprendentemente nebbiose, dove le case portano ancora i segni dei bombardamenti e “i figli si vergognavano, a scuola, dei loro cognomi sardi con tutte quelle u.”
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La famigliola cagliaritana, per andare a Milano a trovare i parenti emigrati, doveva: prendere il treno da Cagliari a Porto Torres, il traghetto da Porto Torres a Genova, di nuovo il treno da Genova a Milano. Metto una mappa così ci si rende conto meglio delle distanze. Non so quanto tempo ci mettessero, ma la lontananza percepita Cagliari-Milano doveva essere immensa.
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Qualche frase che mi è piaciuta:

“I figli li avevano le donne normali, allegre e senza brutti pensieri, come le vicine della via Sulis.”

“A papà nessuna ragazza lo voleva e nonna soffriva e si sentiva in colpa perché forse aveva trasmesso a suo figlio il male misterioso che faceva fuggire l’amore.”

“disse che secondo lui suo marito era un uomo fortunato, davvero, e non un disgraziato, come lei diceva, che aveva avuto in sorte una povera matta, lei non era matta, era una creatura fatta in un momento in cui Dio semplicemente non aveva voglia delle solite donne in serie e gli era venuta la vena poetica e l’aveva creata; e nonna rideva troppo di gusto e diceva che era matto anche lui e per questo non si accorgeva della pazzia degli altri.”

“non riusciva a rassegnarsi a quella cosa, secondo lei senza senso, che è addormentarsi quando si è felici.”

Poi sono andata a leggere i commenti a questo libro su aNobii, IBS e simili: si dividono quasi equamente tra molto positivi e molto negativi. Forse quelli negativi sono in maggioranza: dato il successo del libro, in tanti lo definiscono “sopravvalutato”.

Un commento dice “Le parentele si intrecciano a ritmo serrato e poco ordinato, a volte confondendo chi legge.” Non so se stiamo parlando dello stesso libro, magari questo commentatore ha letto un breve riassunto di Cent’anni di solitudine, comunque spero che passi di qui perché gli ho fatto uno schema per chiarire questo intricato groviglio di relazioni parentali:
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Altri scrivono “E’ noioso, trito e ritrito, infantile” e “A me non ha emozionato neanche un pò”, allora ho pensato che la capacità di emozionarsi potrebbe essere strettamente collegata a quella di distinguere gli accenti dagli apostrofi. E ancora: “Non conviene perdere del tempo dietro a un libro così quando ce n’è tanti altri che emozionano e intrattengono mooolto di più!” che ho pensato che saremmo tutti più sereni se esistesse una risposta univoca alla domanda ‘quali sono i libri che emozionano e intrattengono di più e meglio?’.

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Qualcuno scrive che “Nonostante alcune dettagliate descrizioni delle prestazioni sessuali della nonnina, il racconto rimane delicato e poetico”. Secondo me anche quelle poche pagine erotiche sono molto delicate e poetiche, e le due cose non sono per niente in contrasto: è la vita di una donna, che comprende tanti aspetti e tanti ruoli diversi, ma non necessariamente in contrapposizione. Non è che l’erotismo sia precluso alle future nonne, e neanche ai poeti (be’ magari a qualcuno (Leopardi?), ma mica tutti). Mi dispiace che l’autore del commento abbia scoperto in modo così traumatico che sì, anche la sua nonna deve aver avuto una qualche vita sessuale.

Secondo me questo libro è anche una sorta di lunga lettera d’amore per la letteratura, la scrittura, la creatività poetica tante volte scambiata, e forse a ragione, per pazzia.
Sono un centinaio di pagine che si leggono in un attimo, scorrevoli, ma io le ho trovate così dense e non so, magari ho la febbre, ma per queste cento pagine, qua e là, ho pianto come una vite tagliata. Che tra l’altro per leggere ho bisogno degli occhiali e piangere dentro agli occhiali non è per niente comodo. E poi, siccome mi era venuto in mente questo modo di dire, sono andata a cercare se effettivamente le viti “piangono”: e sì, dopo la potatura, fuoriesce linfa trasparente dai tralci recisi, a gocce, come lacrime.
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