#108 parole “intraducibili”: emozioni

Tiffany Watt Smith si occupa, tra le altre cose, di studiare e fare ricerca sulle emozioni e sulla storia delle emozioni. Sull’argomento ha scritto, nel 2015, The Book of Human Emotions, in cui riporta 154 tra neologismi e parole in varie lingue del mondo che descrivono particolari emozioni, spesso prive di equivalenti in inglese o in italiano.
C’è chi si lascia prendere la mano e sostiene che i coreani e gli scandinavi vivono emozioni diverse perché le loro lingue danno forma in modo diverso al loro emozionarsi (ne parlerò nel prossimo post), ma, in ogni caso, le stranezze linguistiche ci piacciono, gli elenchi ci entusiasmano; ecco dunque cinque delle parole “intraducibili” trattate nel sopracitato libro.

7Tiffany Watt Smith
Tiffany Watt Smith

Awumbuk

Nella lingua del popolo Baining della Papua Nuova Guinea, awumbuk si riferisce alla malinconia e al senso di vuoto che si prova quando gli ospiti che ci hanno fatto visita sono andati via.

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Eccola lì, la Papua Nuova Guinea.

L’appel du vide

“Il richiamo del vuoto”, in francese, è il pensiero o l’impulso di lanciarsi da una grande altezza, di buttarsi sulle rotaie del treno, o di girare il volante verso il precipizio oltre una scogliera o contro un ostacolo. In psicologia è chiamato anche High Place Phenomenon perché avviene perlopiù in luoghi sopraelevati, ma si tratta in generale del pensiero, improvviso e involontario, di un comportamento autodistruttivo. Non è, come si potrebbe pensare, un istinto suicida, ma è una sensazione correlata alla paura e all’istinto di sopravvivenza.

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L’appel du vide illustrato da Marija Tiurina

Circa due anni e mezzo fa avevo parlato della serie di illustrazione dal titolo Found in Translation di Anjana Iyer. Non è la sola ad aver tentato una rappresentazione visiva di parole “intraducibili”: anche Marija Tiurina ne ha illustrate quattordici, tra cui alcune per le emozioni.

2Marija Tiurina
Marija Tiurina, con un gatto.

Basorexia

La basorexia è la pulsione, il desiderio urgente e irrefrenabile di baciare qualcuno.
Non ho trovato spiegazioni sulla sua etimologia (se non che deriverebbe dal francese “baiser”, “bacio”), ma io azzarderei che deriva dal latino basium, a sua volta di origine incerta e controversa, a cui è aggiunto il greco ὄρεξις (órexis) che significa desiderio, voglia, appetito o fame, dal quale viene il suffisso italiano -oressìa, usato in medicina in relazione all’appetito e all’alimentazione (anoressìa, disoressia, licoressìa, paroressìa, iperoressìa, ortoressìa).

5Alfred Eisenstaedt
La foto di Alfred Eisenstaedt

Nell’arte di tutti i tempi ci sono meravigliose opere che ritraggono baci, ma tra tutte mi è venuta in mente la celebre fotografia del marinaio e l’infermiera a Times Square, scattata il 14 agosto 1945 dopo l’annuncio della resa del Giappone (è il VJ Day o Victory Over Japan Day). Esistono in realtà almeno due foto: V-J Day in Times Square, meglio conosciuta come The Kiss di Alfred Eisenstaedt, pubblicata su Life, e un’altra, che ritrae lo stesso bacio da una differente angolazione, scattata da Victor Jorgensen e pubblicata sul New York Times.
La seconda è forse meno interessante dal punto di vista artistico, ma siccome Victor Jorgensen era un fotografo della marina americana in servizio, la foto appartiene al governo federale statunitense ed è rilasciata in pubblico dominio, e dunque l’immagine è più diffusa. Al contrario, la foto di Alfred Eisenstaedt, più bella, è protetta da copyright e il fotografo si è arricchito per ogni riproduzione.
Le facce dei due protagonisti del bacio non sono ben visibili, e negli anni parecchie persone hanno proclamato di essere il marinaio o l’infermiera. Tuttora ci sono dubbi sulle loro reali identità. Dibattuta è anche la storia dietro quel bacio: spontaneo o pianificato? Gioia patriottica festosamente condivisa oppure coercizione e slinguazzata indesiderata? Chissà.

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La foto di Victor Jorgensen

Torschlusspanik

Il “panico del cancello chiuso” è, in tedesco, l’ansia del tempo che passa troppo in fretta al confronto delle cose che dovremmo o vorremmo fare. Può essere il “ticchettio dell’orologio biologico” di una donna che ha superato i trenta e non ha figli, la “crisi di mezza età” di chi guarda avanti e vede che la vecchiaia è in arrivo, l’angoscia per le occasioni che stiamo perdendo, l’ansia per la deadline che si avvicina e ancora abbiamo troppo lavoro da fare.

8fall of light
Il mio moroso vive attualmente in costante Torschlusspanik perché il suo videogioco deve uscire in autunno e non sa se riuscirà a infilarci tutte le cose fighissime che ha in testa.

Torschlusspanik (o Torschlußpanik: della lettera Eszett avevo parlato qui) è composta da Tor, cancello o portone; Schluss, chiusura o conclusione; Panik, panico.
La parola ha origine medievale, quando i castelli chiudevano i cancelli ogni sera per motivi di sicurezza oppure per prepararsi a un attacco nemico (ho trovato entrambe le versioni): non era auspicabile rimanere chiusi fuori e gli abitanti avevano l’ansia di affrettarsi a rientrare prima della chiusura.
I tedeschi usano l’espressione «Torschlusspanik ist ein schlechter Ratgeber» («Il Torschlusspanik è un cattivo consigliere») per ricordare che la fretta, l’ansia, l’impulsività di fare qualcosa all’ultimo minuto, non creano le condizioni per le decisioni migliori.

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Il Torschlusspanik illustrato da Marija Tiurina

Matutolypea

Parecchio diffusa sul web di lingua inglese ma assente nei veri dizionari, matutolypea si riferisce allo svegliarsi di cattivo umore. Non si sa chi l’abbia coniata, ma è un miscuglio di latino e greco: matuto, da Mater Matuta che, nella mitologia romana, era la dea del Mattino e protettrice delle nascite (dal suo nome deriva l’italiano mattina), e il greco λύπη (lýpi), cioè dolore, sofferenza, tristezza o infelicità. Qui la pronuncia.

3Mater-matuta.-Capua-Museo-Provinciale
Mater Matuta

E continuiamo nel prossimo post perché questo sta diventando troppo lungo. See you soon!


 

Age-otori, cafuné, culaccino, friolero, hanyauku, mamihlapinatapai, ohrwurm, pochemuchka, tingo, tsundoku, utepils: per gli appassionati di “intraducibili”, si è parlato di queste parole qui!

#80 terminus post quem / terminus ante quem

È probabile che questo post non contenga niente di nuovo per voi latinisti, storici, archeologi, persone spaventosamente colte. Per tutti gli altri: ho scoperto due espressioni di cui davvero sentivo il bisogno, e vi assicuro che anche voi non potrete più farne a meno.

Quando si vuole datare un evento passato e non è possibile determinare direttamente una data precisa, ci si può affidare a elementi esterni, ad esempio mettendo in relazione l’evento che si vuole datare con un altro evento, possibilmente del quale si conosce la data.
Questo ragionamento si può applicare a eventi storici, manufatti, opere artistiche o letterarie, parole, eccetera, in diversi ambiti (storia, archeologia, filologia, eccetera).

Terminus post quem è un’espressione latina che significa letteralmente “termine dopo il quale”, “data dopo la quale”. Indica una data dopo la quale si è svolto ciò che si vuole datare, un punto nella cronologia che precede l’evento considerato, la data più antica in cui quel fatto sarebbe potuto accadere.
(L’ho ripetuto tre volte in tre modi diversi perché faccio confusione, mi sembra di stare in un libro di Asimov sui viaggi nel tempo e i paradossi temporali – non so se ne ho già parlato di queste cose).

Al contrario, un terminus ante quem (“termine prima del quale”) è una data prima della quale si è svolto ciò che si vuole datare, “indica un punto nella cronologia che sicuramente segue l’evento considerato”, è la data più recente in cui quell’evento sarebbe potuto accadere.

Nella datazione di qualcosa, è possibile che si riesca a trovare sia un terminus post quem sia un terminus ante quem, ma più spesso si ha a disposizione soltanto uno dei due punti di riferimento.

Siccome, inspiegabilmente, su internet non ho trovato disegnini che illustrassero queste due magiche espressioni, ne ho fatto uno io in PowerPoint (e mi viene da aggiungere: “ma non voglio che mi si dica grazie” con questa voce qua).

terminus

Terminus post quem e terminus ante quem sono usate (raramente) anche in inglese.

Queste due espressioni, da oggi in poi, diventeranno essenziali nel vostro lessico quotidiano, e potrete sfruttarle nelle più svariate occasioni. Vi propongo un esempio semplicissimo nonché realistico, sotto forma di simpatico dialogo:

Q: «Hey, sapresti dirmi quando è successa la tal cosa?»
A: «Dunque, fammi pensare… Ricordo che indossavo il mio meraviglioso vestito a pois, acquistato nei saldi estivi: questo ci fornisce un ottimo terminus post quem. Inoltre, non possedevo ancora le mie deliziose scarpe viole, comprate in occasione dei successivi saldi invernali: ecco un provvidenziale terminus ante quem. Abbiamo delineato un ragionevole lasso di tempo nel quale l’evento da te descritto deve avere avuto luogo.»

Zooey Deschanel, il mio punto di riferimento quando si tratta di vestiti a pois.
Zooey Deschanel, il mio punto di riferimento quando si tratta di vestiti a pois.