L’ipotesi Sapir-Whorf dice che la lingua che parliamo ha un profondo impatto sulla nostra visione del mondo. Una data lingua, con il suo vocabolario e con le sue strutture grammaticali, influenza il sistema cognitivo e il modo di vedere il mondo dei suoi parlanti: ne consegue che i parlanti di lingue diverse avranno diverse concezioni della realtà.
Una lingua non è solo uno strumento per esprimere idee, ma è essa stessa che dà forma alle idee e all’attività mentale dell’individuo. Senza una lingua, non solo non potremmo parlare della realtà: non potremmo neanche pensarla, perché la lingua organizza la materia amorfa del pensiero. L’esperienza umana sarebbe come una nube, confusa e indistinta, composta da un’infinità di percezioni, sensazioni e informazioni, che di per sé non hanno senso né identità precise. È il linguaggio a dare una struttura alla mente pensante e al suo modo di percepire e interpretare la realtà: suddivide il mondo percettivo in schemi e categorie logiche, lo organizza, stabilisce relazioni e legami. Il sistema di coniugazioni verbali, ad esempio, dà forma alle azioni e al loro svolgersi nel tempo.
L’ipotesi Sapir-Whorf è una forma di relativismo linguistico, in quanto la realtà, l’esperienza umana, la conoscenza, non sono considerate valori universali, oggettivi e assoluti, bensì relativi e variabili da cultura a cultura. La lingua non è un insieme di etichette che si applica a concetti universalmente condivisi, poiché tali concetti non esistono indipendentemente da una lingua che dia loro una definizione. Il fatto che tante parole non siano perfettamente traducibili da una lingua all’altra, che non abbiano cioè equivalenti esatti, ne sarebbe una prova. Il “mondo reale” non esiste uguale per tutti, poiché è inconsciamente costruito dalla lingua di un gruppo sociale. Ogni lingua rappresenta e crea un “mondo reale” diverso da quello di ogni altra lingua.
Mentre la versione “debole” del relativismo linguistico si limita a sottolineare il profondo legame e l’interazione costante tra lingua e pensiero, la versione “forte”, attribuita a Whorf, sostiene che la lingua crei (o determini) il pensiero, unilateralmente, e per questo è chiamata anche determinismo linguistico.
Se siete come me, ora sarete colti da un entusiasmo irrefrenabile e penserete cose del tipo “Mi immagino la luna come una donna e il sole come un uomo, ma se fossi tedesco sarebbe il contrario perché la luna (der Mond) è maschile e il sole (die Sonne) femminile” (ne avevo parlato qui) oppure “Per me la neve è tutta uguale, ma gli eschimesi hanno decine di parole per descriverla e vedono ogni tipo di neve come un oggetto diverso” (e non è vero, lo accennavo qui), e altre amenità.
Ma, prima di smontare del tutto il suddetto entusiasmo, facciamo qualche passo indietro.
Sapir
Edward Sapir (1884-1939) nasce nell’Impero germanico, in quella che oggi è la città polacca di Lębork, da una famiglia di ebrei lituani in cui si parla Yiddish come prima lingua. Durante la sua infanzia, la famiglia si trasferisce prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, e si stabilisce infine a New York. Al college studia filologia germanica e antropologia. Partecipa a un seminario dell’antropologo Franz Boas (1858-1942), che lo introduce alle lingue dei nativi americani e inuit.
Due parole su questo Franz Boas: di origine tedesca, è considerato il padre dell’antropologia americana. È tra i primi ferventi oppositori del razzismo scientifico, che giustificherebbe l’inferiorità di certe “razze” umane su basi biologiche. Rifiuta inoltre l’idea che determinate culture siano “primitive” o “meno evolute” rispetto ad altre, poiché non esiste un percorso evolutivo, simile per ogni popolo, lungo il quale si possano collocare culture più o meno elevate, o giuste, o migliori. Boas introduce il concetto di relativismo culturale, secondo il quale le altre culture non vanno studiate in base ai nostri criteri, e ogni persona (con le sue idee, valori, credenze, comportamenti) va giudicata relativamente al contesto culturale a cui appartiene e non in modo assoluto. L’antropologia, per Boas, è lo studio combinato di quattro campi: le caratteristiche fisiche e biologiche, gli aspetti culturali e le usanze, le testimonianze archeologiche, e la lingua. Sostiene che sia impossibile comprendere una cultura senza conoscerne direttamente la lingua. Con questa impostazione, contribuisce a incoraggiare gli studi e le documentazioni delle lingue native americane.
Torniamo al nostro Sapir, che fa ricerche sul campo e studia le lingue Chinook, Takelma, Shasta Costa, Yana, Ute, ecc. Lavora inoltre sulle relazioni storiche tra le lingue indigene americane e alla loro classificazione in famiglie. Pubblica un’introduzione alla linguistica dal titolo Language nel 1921, continua a occuparsi di antropologia, si interessa di psicologia, scrive poesie.
Ha problemi di cuore, e muore nel 1939 a soli 55 anni.
Whorf
Benjamin Lee Whorf (1897-1941) è un ingegnere chimico. Uomo spirituale e interessato alla teologia, si dedica nel tempo libero all’analisi di testi biblici e impara l’ebraico. Nasce probabilmente qui la sua passione per la linguistica. Comincia a studiare numerose lingue native americane (Nahuatl, Piman, Tepecano, ecc.). Linguista autodidatta, svolge ricerche, scrive articoli, e si fa un nome nell’ambiente. Mantiene il suo lavoro presso una compagnia assicurativa (Hartford Fire Insurance Company), per la quale gira l’America ispezionando impianti produttivi in merito alla prevenzione incendi, e si iscrive all’università di Yale, dove segue il corso di linguistica nativa americana di Edward Sapir (e dove, tra l’altro, non arriverà mai a conseguire la laurea in linguistica).
Ma la sua salute non è solida quanto il suo amore per le lingue, e il nostro linguista dilettante muore di cancro a soli 44 anni.
Potremmo ridicolizzare quest’uomo per non essere un vero linguista («Torna alle tue stupide assicurazioni, Benny!») ma non lo faremo. Anzi, ne elogeremo senza riserve la passione e l’eclettismo intellettuale, la mente creativa, l’ardita sfacciataggine. Bisogna dire, tuttavia, che l’accuratezza non era il suo forte. Va anche ricordato che la maggior parte dei suoi scritti furono pubblicati, diffusi e discussi soltanto dopo la sua morte: negli anni, gli amici G. L. Trager, Harry Hoijer, e John Bissell Carroll pubblicarono raccolte e antologie di suoi articoli e scritti inediti e, tra l’altro, fu Hoijer a coniare l’espressione “Sapir-Whorf hypothesis” a una conferenza nel 1954. Le sue idee presero vita propria, e Whorf non poteva più rispondere alle critiche o alle richieste di chiarimenti. Molti suoi passaggi sono ambigui e hanno dato luogo a differenti interpretazioni. Tenendolo a mente, proveremo ad analizzare alcune questioni salienti – nei prossimi post.