Peter Cameron, nato nel 1959, scrittore statunitense, ha questa faccia qua:
Uno dei suoi libri più famosi è Un giorno questo dolore ti sarà utile (Someday This Pain Will Be Useful to You) del 2007.
Il protagonista del romanzo, James Sveck, racconta in prima persona le vicende di un’estate. Vive a New York, ha 18 anni, ama la solitudine e i libri, pensa tanto e parla poco.
È un gran bel libro, scritto bene, triste al punto giusto. Ecco alcuni passaggi che rappresentano particolarmente bene la sua attitudine “I hate everyone”: sono sicura che almeno qualcuno di voi si identificherà da morire con questo personaggio…
«È che non voglio andare all’università».
«Ma perché?».
«Perché penso che sia una perdita di tempo».
«Una perdita di tempo! L’università?».
«Sì» ho detto. «Almeno per me. Sono sicuro di poter imparare tutto quello che voglio leggendo i libri che mi interessano. Non vedo perché devo passare quattro anni – quattro anni molto costosi – a imparare un mucchio di cose di cui non mi importa niente e che quindi dimenticherò presto, solo per conformarmi a una norma sociale. E poi non sopporto l’idea di passare quattro anni a stretto contatto con gli studenti universitari. Tremo solo all’idea».L’esperienza di condividere la camera con altri due ragazzi è stata talmente traumatica che non ricordo quasi nulla. […] volevo solo un posto dove stare da solo. Per me è un bisogno primario come l’acqua e il cibo, ma ho capito che non lo è per tutti. In camera, gli altri sembravano contenti di scoreggiare e farsi canne tutti insieme, per nulla infastiditi dal fatto di non aver mai un momento per sé. Io mi sento me stesso solamente quando sono solo. Il rapporto con gli altri non mi viene naturale: mi richiede uno sforzo.
«Che cosa ti entusiasma della tua vita? Che cosa adori?».
«Trollope,» ho detto «e Denton Welch e Eric Rohmer».
«Chi è Denton Welch?».
«Era un grande scrittore». […]
«James, tu parli di cultura, di libri, di film: quelli è facile farseli piacere. Ma l’importante è che ci piaccia la vita, non l’arte. Sono capaci tutti di ammirare la Cappella Sistina».
«Io odio la Cappella Sistina.»
«Cos’è che vorresti fare?» mi ha chiesto.
«Vorrei comprarmi una casa» ho detto. «Una casetta nel Midwest, vecchia come questa […]»
«E in quella casa, cosa faresti?».
«Leggerei. Leggerei tanto, tutti i libri che ho sempre voluto leggere ma non ho potuto perché dovevo andare a scuola, e poi mi troverei un lavoro, ad esempio in una biblioteca o come portiere di notte o roba del genere, e imparerei un mestiere — come il rilegatore, il falegname, il tessitore —, e creerei degli oggetti, degli oggetti belli, e mi occuperei della casa e del giardino». Mi attirava molto l’idea di lavorare in una biblioteca, un luogo dove la gente è costretta a parlare sottovoce e solo quando è necessario. Magari il mondo fosse così!
«Ma non ti sentiresti solo? Così lontano? Fra persone che non conosci?».
«Non mi importa se mi sento solo» ho detto.
Avrei tanto voluto che la giornata fosse tutta come la colazione, quando le persone sono ancora sintonizzate sui loro sogni e non è previsto che debbano affrontare il mondo esterno. Mi sono reso conto che io sono sempre così; per me non arriva mai il momento in cui, dopo una tazza di caffè o una doccia, mi sento improvvisamente pieno di vita, sveglio e in sintonia col mondo. Se si fosse sempre a colazione, io sarei a posto.
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Bello parlare solo a bassa voce e solo se necessario!
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Bisognerebbe parlare a voce bassa più spesso! 🙂
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Vero, verissimo!
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Comunque a me Peter Cameron ricorda Noah Emmerich: http://cdn2-www.craveonline.com/assets/uploads/2014/03/Noah-Emmerich.jpg
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Sto cercando di pensare chi mi ricorda Noah Emmerich ma non mi viene in mente XD
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Mai avuto un compagno di stanza, solo coinquilini più o meno decenti.
Però il festino con 40 persone in casa ogni tanto ci sta, proprio per apprezzare di più i momenti di solitudine!
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È una strategia interessante! Ma personalmente apprezzo moltissimo i momenti di solitudine anche senza i festini con 40 persone… 😛
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